di Isabella Procaccini
« Ridolfo: Possibile che abbiano sempre a fare questa vita? Si amano, o non si amano? »
« Flamminia: Sono innamoratissimi, ma sono tutti e due puntigliosi. Mia sorella è sofistica. Fulgenzio è caldo, intollerante, subitaneo. Insomma si potrebbe fare sopra di loro la più bella commedia di tutto il mondo.»
Andrée Ruth Shammah, insieme alla compagnia del teatro Franco Parenti di Milano, lavora su un testo scritto da Goldoni nel 1759, un testo straordinariamente contemporaneo che indaga l’eterna tematica dell’amore e intrappola il pubblico in un intreccio dove si ride e ci si riconosce.
Gli innamorati sarà in scena al teatro Manzoni di Monza dal 10 al 13 marzo.
Per voi l’intervista a Matteo De Blasio, l’innamorato Fulgenzio.
Chi è Fulgenzio? Come hai lavorato per interpretare il tuo personaggio?
In scena ci sono due innamorati, Eugenia e Fulgenzio. Fulgenzio è innamorato di questa donna, o meglio, la domanda che ci si fa è: “ Sono innamorati questi due?!”. Perché di fatto continuano ad avvicinarsi, ma ogni volta litigano e finiscono per dire: “No, basta! Non ci si rivede mai più!”. I due, però, non riescono a stare distanti! La storia inizia proprio con Fulgenzio che, dopo una litigata clamorosa con Eugenia, se ne va e manda un avvocato a dirle che non vorrà mai più rivederla. Però prima ancora che l’amico riesca a comunicare il messaggio, lui arriva disperato, lo blocca e lo supplica di aspettare perché il solo pensiero di non rivederla seriamente mai più lo fa cascare a terra, lo fa svenire e lo fa impazzire: “Ti prego fermati! Lo capisco, lei è gelosa, io sono troppo caldo, devo stare tranquillo, calmarmi e accettare che siamo diversi, insomma siamo uomo e donna!”. Quindi Fulgenzio è un carattere irruento, istintivo, vuole essere uomo, duro e sicuro di sé, però l’amore lo ribalta e lui non è completamente disposto ad accettare questa cosa. Non è totalmente capace di lasciarsi trasportare dall’amore per Eugenia e spesso si lascia andare a questi scatti di troppo orgoglio che lo portano a pensare: “ No, però così no! Così è troppo!”. Lei poi è un caratterino molto peggio di lui! Gliele canta e gliele suona, lui dà via di testa, si allontana e poi, appena sente qualcosa che lo fa arrabbiare, che lo fa ingelosire, scatta e, inevitabilmente, torna da lei.
Ci sono tanti personaggi in scena e il lavoro registico sarà stato sicuramente complesso… Com’è lavorare con una grande regista come Andrée Ruth Shammah?
Diciamo che per me è stato il primo vero lavoro teatrale finita la scuola. Prima ho recitato con Filippo Timi al teatro Franco Parenti in un piccolo ruolo e poi Andrée ha deciso, con la compagnia, di mettere in piedi questo spettacolo e mi ha scelto per interpretare il ruolo del protagonista al fianco di Marina Rocco (Eugenia). Ho imparato tantissimo da Andrée, ci siamo messi subito a lavorare a tavolino, abbiamo letto insieme il copione, mi ha insegnato a concentrarmi sulle parole, a occuparmi con attenzione del testo, dei pensieri dei personaggi. Il fatto che ci fossero molti interpreti mi ha permesso di vedere come pensano e quindi come, lavorando in maniera diversa le parole, vengano fuori i diversi caratteri. Dei caratteri che possono essere anche comici; penso per esempio a Fabrizio, lo zio di Eugenia che, senza creare la macchietta, sa far ridere sfruttando i pensieri che stanno dietro le parole.
Nella scenografia e nei costumi prevale il colore bianco… È una scelta casuale, o c’è un pensiero dietro?
Il pensiero che c’è dietro è quello che per fare il teatro basta veramente molto poco. L’insegnamento che ci ha dato Andrée è che appunto basta lavorare sui pensieri che stanno dietro le parole; quindi la scelta era quella di non puntare su costumi elaborati, di non provare a ricreare l’ambientazione sfarzosa della Milano seicentesca. Inoltre c’è anche l’idea, e per questo è stato fondamentale il lavoro di adattamento, di rielaborare il testo per creare una messa in scena di teatro nel teatro. Quindi all’inizio si vede una compagnia che cerca i propri costumi per fare lo spettacolo; gli attori si interrogano perché avrebbero dovuto recitare la grande commedia con gli abiti dell’epoca e invece questi sono caduti nel canale e sono rimasti dei comuni costumi bianchi… La commedia però parte lo stesso. Quindi la semplicità del fare teatro, che, attenzione, non vuol dire facilità, viene esposta sia dal testo, sia dai costumi e sia dalla scenografia. Con poche cose essenziali si può fare un ottimo lavoro, interessante e stimolante.
In che modo Goldoni sa essere contemporaneo? Cosa comunicano Eugenia e Fulgenzio ai giovani d’oggi?
Beh, è contemporaneo perché innanzitutto è uno spettacolo che, senza metterci niente di più di quello che sta nel testo, prende, fa ridere e se lo si legge si possono riconoscere delle dinamiche che non sono solo attuali, ma probabilmente sono eterne! Abbiamo lavorato su Goldoni non volendo cercare il “goldonismo”, ma leggendo quelle parole come se fossimo noi qui oggi a dircele e in effetti funzionano!
È divertente pensare che Goldoni abbia scritto più o meno a metà del 1700 e che la sua storia d’amore vada bene ancora oggi! Forse è proprio la tematica dell’amore ad essere contemporanea ed eterna: i sentimenti della gelosia, della possessione valevano allora e valgono oggi, nonostante le dinamiche sociali tra uomo e donna siano di gran lunga cambiate…
Esatto! Infatti il gioco sulle dinamiche sociali è semplicemente questo: il fatto che Fulgenzio ad un certo punto dica “No, io sono un galantuomo, un uomo d’onore!”… Sicuramente oggi non parlerebbe così, ma le problematiche dell’uomo restano le stesse, il dover affermare la propria mascolinità, la propria virilità… è evidente. Anche se spesso Fulgenzio tenta di nasconderle, prima o poi ritornano perché sono cose che erano, sono, e resteranno sempre parte della differenza tra uomo e donna. Inoltre sento particolarmente attuale anche il tema della difficoltà di amare, di lasciarsi amare e di stare bene con un’altra persona. Sembra sempre che si voglia a tutti i costi complicare le cose, che sia difficile stare nella semplicità, che non basti mai, che si voglia sempre difendere la propria identità, che si abbia paura di sentirsi trasportare fuori da se stessi.