di Luigi Picheca
Qualcuno dirà, a proposito di sport e di tutto quello che sta accadendo in questi giorni: “anno bisesto, anno funesto”. E come non dare ragione ai milioni di persone, più o meno atletiche e più o meno tifose, che si trovano improvvisamente “orfane” di eventi sportivi e relegati in casa come galeotti?
Quest’anno niente calcio, niente formula 1, niente moto GP, niente Olimpiadi e nessuna possibilità di fare esercizio fisico in libertà.
Quante emozioni si sono perse per giovani e meno giovani, uomini e donne? Nessuno ha potuto recarsi allo stadio o sulle tribune dei circuiti più famosi e prestigiosi del mondo, oppure restare semplicemente a casa o trovarsi al bar con gli amici a prendersi in giro, gioire, imprecare, scommettere per la propria squadra e gufare per gli avversari.
Ecco, parlo delle emozioni che a volte fanno scattare anche gli infermi nei loro letti o seduti sulle carrozzine davanti alla tv, che fanno venire i brividi perché è l’adrenalina che scorre nelle vene e che permette il compiersi di questi piccoli miracoli: farli sentire vivi e partecipanti.
Ovviamente non parlo neanche lontanamente della violenza che, purtroppo, spesso rende lo sport protagonista involontario della stupidità umana e che accende gli animi provocando talvolta anche vittime.
Qui parlo della bellezza dello sport e delle grandi imprese che gli atleti sono capaci di compiere a costo di sacrifici commoventi (specialmente negli sport definiti minori). E qui, mi riferisco agli sport che non attirano il grande pubblico degli stadi e hanno l’onore delle prime pagine solo quando conseguono risultati eclatanti come in occasione dei mondiali o delle Olimpiadi che, però e purtroppo, quest’anno non si faranno.