di Alfredo Somoza
In un lontano Paese in fondo al Sud America, sta andando in pensione uno dei politici più amati al mondo. Un uomo che ha governato solo quattro anni, ma che ha lasciato una traccia indelebile sullo scenario internazionale. José Pepe Mujica ha una storia politica impeccabile, anche se ha riconosciuto di avere avuto la testa “troppo calda” quando militava nella guerriglia Tupamaro. Prigioniero politico di lungo corso nelle segrete della dittatura, è il simbolo della continuità tra le lotte degli anni ’70 e quelle del XXI secolo.
L’Uruguay è una piccola porzione della Pampa che fu per secoli un cuscinetto tra i due imperi che si spartivano il Sudamerica – quello spagnolo e quello portoghese – e successivamente passò sotto l’ala del Regno Unito, interessato a tutelare i suoi grandi interessi economici nella zona. L’eroe nazionale che lottò contro la Spagna, il generale José Artigas, non a caso venne battezzato “protettore dei popoli liberi”; e quando si verificò lo strappo con Buenos Aires, che portò all’indipendenza dall’Argentina, qui combatté e visse Giuseppe Garibaldi nella sua fase più libertaria. L’Uruguay, infatti, è uno Stato laico nel continente più segnato dal cattolicesimo spagnolo. Un Paese nel quale il divorzio esiste da decenni e dove oggi sono ammessi i matrimoni omosessuali. Un Paese che già nel 1917 sancì la separazione totale tra Stato e Chiesa, e nel quale la Pasqua si chiama “settimana del turismo”.
Soprattutto, l’Uruguay è storicamente un’isola di democrazia in un continente in tempesta, anche se questa nobile tradizione si interruppe drammaticamente mentre i “vicini di casa” si trovavano sotto lo stivale dei militari. In quegli anni bui per Montevideo, un guerrigliero fu tenuto in prigione per 15 anni. Quell’ex detenuto, che non ha mai rinnegato le proprie idee di giustizia sociale, sta concludendo il suo mandato di presidente della repubblica, a capo di una coalizione formata da socialisti, comunisti, cattolici progressisti ed ex Tupamaros. Un presidente amatissimo che ha continuato a vivere nella sua modesta casa di campagna, che ha tenuto per sé soltanto 800 euro di stipendio, ha girato con la sua auto di trent’anni fa e in tutti i forum internazionali è diventato un faro per chi si batte contro il modello dominante di sviluppo consumistico e contro la mancanza di etica nella politica.
Con Mujica la disoccupazione è calata, l’economia è cresciuta, è stato depenalizzato l’aborto e sanciti i matrimoni tra persone dello stesso sesso. In Uruguay si è anche realizzato il sogno dell’antiproibizionismo con la legalizzazione della marijuana, anticipando una decisione che – per forza di cose – prima o poi dovrà essere presa da tutti i Paesi dell’area per debellare le mafie, che non soltanto delinquono e inquinano la società, ma sono diventate veri contropoteri antagonisti della democrazia.
Come scrisse anni fa uno dei grandi scrittori di questo Paese, Eduardo Galeano, l’utopia serve a camminare senza perdere l’orientamento. Il piccolo Uruguay di Pepe Mujica, patria di tangueros, calciatori e romanzieri, si è permesso ancora una volta di ricordarci un’utopia, quella della politica che riprende l’originale vocazione di servizio e nella quale i cittadini si possono identificare.
Alfredo Somoza