di Claudio Pollastri
E’ una di quelle cronache che dovrebbero essere affidate alla sensibilità dei poeti che riescono a cogliere sfumature al di là delle immagini e delle parole che hanno invaso il mondo riguardanti il funerale, che in realtà sono stati due, di Papa Francesco in Vaticano sabato 26 aprile.
Perché dagli appunti del giornalista e dai momenti di tenerezza a un requiem dalla commozione del cattolico, s’intuisce che Papa Francesco avrebbe preferito il secondo, quello che sulla papamobile portava la bara da piazza San Pietro alla basilica papale di Santa Maria Maggiore dove è stato tumulato.
Ma proprio all’arrivo del feretro abbiamo assistito al primo strappo al comportamento che avrebbe avuto il Pontefice seguendo la missione del suo magistero di privilegiare gli ultimi. Sul sagrato della basilica lo attendevano, come aveva stabilito il Santo Padre, un gruppetto formato da senzatetto, immigrati, carcerati in permesso che lo salutavano tenendo in mano una rosa bianca il fiore preferito da Bergoglio nel ricordo della nonna materna Rosa.
La papamobile passava accanto al gruppetto, che Francesco privilegiava rispetto al gruppone dei potenti della Terra che lo aveva da poco omaggiato sul sagrato di San Pietro, senza fermarsi né rallentare seguendo il rigido protocollo vaticano che Bergoglio aveva sempre trasgredito preferendo le regole del cuore a quelle del cerimoniale.
Il gruppetto, abituato a essere ignorato e umiliato dalla gente, si è sentito per la prima volta orfano dell’unica persona che l’ha sempre difeso e che sicuramente si sarebbe fermato a salutarli a uno a uno. Invece non è stato permesso ai preferiti del Papa di essere in prima fila, come previsto dal Santo Padre, finendo come sempre in fondo tra gli ultimi, invisibili, scartati della società.
Le lacrime sincere di smarrimento nel costatare che il “Papa dei poveri” non li avrebbe mai più protetti e che nessuno avrebbe più ascoltato quelli come loro che non hanno voce in un mondo che urla, non trovavano spazio sui social, sulla stampa e nelle televisioni dove campeggiavano le foto dei potenti della Terra.
Una in particolare dove due grandi, Donald Trump e Volodymyr Zelensky apparivano piccoli quasi minuscoli accanto al colonnato ovattato di sacralità della basilica mentre cercavano di aprire il proprio cuore realizzando un miracolo laico per il quale Papa Francesco dedicava quotidianamente preghiere profondamente sofferte.
Riflessioni crude e realistiche che stridono davanti alla tomba di Francesco che invitava i giovani a sognare e che ha voluto ricordare le proprie origini materne scegliendo la pietra della Liguria. Accanto all’icona della Madonna Salus populi romani che pregava prima di partire e al ritorno dai suoi viaggi apostolici, compresi i ricoveri all’ospedale Gemelli, sembra lontana l’eco dei potenti che hanno fatto da cornice al primo funerale dove l’unico spirito che richiamava l’Aldilà era un soffio di vento che sfogliava il vangelo deposto sulla bara del Papa com’era successo vent’anni fa alle esequie di Wojtyla, ora san Giovanni Paolo II.
Cenni di cronaca che si sono trasformati in emozioni da scorticare l’anima vedendo il gruppetto degli invisibili aspettare in disparte, ai margini, quasi scartati, il proprio Papa per chiamarlo Santo Subito. I primi a farlo che per il “Papa degli ultimi” vale più di una canonizzazione.
29 aprile 2025