Hey tu: lo sai di “non sapere”?


di Safia Zappa

Parliamo di Socrate, quel famoso filosofo che nulla ha scritto, ma di cui tanto si è parlato. Colui che ha bevuto la cicuta per passare a miglior vita, convinto di poter liberare la sua anima con la morte e scoprire così la verità.

Socrate appare in moltissimi dialoghi dell’altrettanto celebre filosofo Platone, e la sua figura è sempre molto enigmatica, e anche un po’ antipatica a volte: puntigliosa e pronta a contraddire ogni idea, a smontare ogni tesi.

Ma vi dirò che tutto questo ha un motivo profondo. Socrate non voleva rendersi protagonista assoluto di ogni dialogo, ma aveva un fine assai più alto. Esaminiamo il suo metodo e scopriamo come può esserci utile.

Innanzitutto il metodo socratico è un metodo dialettico e il suo fine è quello di esaminare l’anima, ma in che modo? Attraverso due momenti: la confutazione e la maieutica. Nel mettere in atto queste due tecniche, Socrate si serve del famosissimo “so di non sapere” e dell’ironia.

Ciò che lo rende così indisponente, fastidioso, è la sua pretesa di smascherare l’interlocutore, portandolo alla consapevolezza di “non sapere”. Con un gioco di ironia, che si può definire sostanziale più che formale, Socrate incastra l’interlocutore nella contraddizione. Nella cosiddetta pars destruens del suo metodo, confuta una tesi e porta il suo dialogatore a riconoscere la propria ignoranza. Una volta che egli ammette di “non sapere”, si attiva la pars costruens, ossia la maieutica, la ricerca del concetto, della verità. La maieutica è come un ostetrica: colui che “è gravido” della verità ha bisogno di un’ostetrica per poterla “partorire”.

Socrate si autodefinisce “ostetrico dello spirito”. Il suo fine non è un fine da superbo filosofo, tutt’altro: “lui sa di non sapere”, e vuole aprire gli occhi anche ai suoi discepoli su questa condizione di ignoranza che caratterizza l’umanità intera. L’unica peculiarità per cui si considera più sapiente degli altri è essersi reso conto di “non sapere”, ma sapiente è solo Dio.

Credo che tutti avremmo da imparare da questa filosofia. Un po’ di modestia e dubbio sulle certezze che finora abbiamo accumulato ci può servire a scoprire dove sta la verità. Andare sicuri ci espone al fallimento, all’imprevisto, al non saper gestire il “diverso”.

Cambiare prospettiva, ripartire sempre da zero, scardinare le nostre sicurezze può toglierci la terra da sotto i piedi, ma permetterci di imparare a volare.

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