di Daniela Zanuso
Paterson, New Jersey 1966: un poliziotto razzista, noti criminali pagati per testimoniare il falso, un alibi occultato, una giuria composta da soli bianchi, la fretta di chiudere un caso di triplice omicidio che aveva sconvolto una città: questi gli elementi che fecero condannare Rubin Carter, campione nero dei pesi medi ad una condanna all’ergastolo per un delitto che non aveva commesso.
Per amore di verità bisogna dire che Rubin non aveva un passato immacolato: tre anni di riformatorio, dal quale riuscì a fuggire, un arruolamento nell’esercito dal quale fu congedato per ripetute insubordinazioni, un paio di aggressioni e rapine per le quali scontò quattro anni.
Fu proprio la prigione a risvegliare il suo interesse per la boxe, alla quale si dedicò con passione tanto che, dopo il suo rilascio, scelse di farla diventare la sua professione. Non era alto ma aveva uno stile irruente e la potenza dei suoi pugni gli procurò molte vittorie e un soprannome: “Hurricane” (uragano).
Ci furono una serie di vittorie e alcune sconfitte fino alla sera del 17 giugno del 1966, quando due uomini e una donna furono uccisi durante una sparatoria in un bar di Paterson.
Tutto quello che seguì è storia: una condanna all’ergastolo per lui e per il suo compagno di sventura Artis, l’autobiografia scritta in carcere “The Sixtheen Round” (Il sedicesimo round) ma soprattutto l’arrivo sulla scena di un ragazzo di colore di nome Lazarus Martin (detto Lesra) che cominciò ad interessarsi al suo caso, andò in prigione per conoscerlo, si convinse della sua innocenza e con il coraggio dell’ostinazione e la fede nella giustizia, diede vita ad un movimento di opinione tale da riuscire ad ottenere, in pochi anni, la revisione del processo e la definitiva assoluzione di Rubin Carter.
Per Rubin si mobilitarono intellettuali, pugili, artisti. Bob Dylan scrisse una canzone che raccontava la sua storia e che divenne un inno alla sua innocenza.
Bisognerà però aspettare fino al 26 febbraio 1988, ventidue anni dopo la condanna, prima che un giudice della Contea di Passaic, rigetti formalmente tutte le incriminazioni.
Rubin Carter ha trascorso il resto della sua vita in Canada, dedicando molto del suo tempo all’ADWC (Associazione per la difesa dei condannati per errore), motivo per il quale ha anche ricevuto laurea ad Honoris Causa in legge da tre università fra le quali anche quella di New York.
E’ morto un anno fa, il 20 aprile 2014.
La sua vicenda ha ispirato anche un film Hurricane – Il grido dell’innocenza.
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