di Francesca Fumagalli
A distanza di quasi centosessant’anni dalla sua pubblicazione, il capolavoro di Victor Hugo, che sia nella sua forma originale di romanzo o in quella di adattamento cinematografico o teatrale, continua imperterrito la sua attività prima: scardinare le meglio assestate fondamenta delle società occidentali. La pièce portata sul palco del Piccolo Teatro Strehler di Milano dal 12 al 24 febbraio a cura di Luca Doninelli, sceneggiatura, e Franco Però, regia, ne è esempio.
La compagnia mette infatti in scena la rovinosa Francia del 1815, reduce delle riforme oscurantiste introdotte dal Congresso di Vienna, prima fra tutte la restaurazione dell’Ancien Régime e la costituzione concessa. La narrazione si interrompe nel 1832, a due anni dalla rivoluzione, accompagnando il suo protagonista indiscusso alla propria fine.
Franco Branciaroli, suo impeccabile interprete, descrive l’ex galeotto Jean Valjean come: «uno strano santo, una figura angelico-faustiana. Il ritratto di un’umanità che forse deve ancora venire». Insieme al rigido ispettore Javert, accompagnato sul palco da Francesco Migliaccio, incarna il fulcro dell’intero spettacolo ed esclama a gran voce la domanda che Victor Hugo pone ai suoi lettori e spettatori: «Quanta vera Giustizia si trova nelle leggi degli uomini?».
Come anticipato e raccontato dallo stesso regista, I Miserabili, porta con sé una verità terribilmente vicina ai giorni nostri, che riverbera nel presente: «un’importante induzione verso questa scelta – spiega- viene dal momento che stiamo vivendo nelle società moderne, dove si assiste all’inesorabile ampliarsi dalla forbice tra i “molto ricchi” e i “molto poveri”, fra chi è inserito nella società e chi invece ne è ai margini. Hugo continua a stupirci ed impressionarci per questa sua assonanza con l’attualità…».
L’adattamento teatrale di Doninelli è indubbiamente curato e molto ben congeniato: la storia scorre a ritmo di dialoghi, lasciando che ad uno ad uno ciascuno dei personaggi si manifesti in tutta la sua umanità, senza sbavature o ridondanze. Le vite di Fantine, Cosette, i Thénardier, Marius, Gavroche ed Eponine si susseguono e si intrecciano incalzanti, permettendo allo spettatore di cogliere ogni sfumatura della collettività, ogni accezione della sorte, del destino dei miserabili, i quali «rappresentano – dice l’autore- l’umano nella sua nudità: spogliato non solo dei beni terreni, ma anche dei valori, da quelli etici fino alla pura e semplice dignità che ci è data dall’essere uomini».
Così come i suoi personaggi, anche il palco dello Strehler si spoglia, sotto l’attenzione di Domenico Franchi, che per lo spettacolo sceglie una scenografia sobria, senza eccessi o colori accessi, mantenendo, però, un tono tetro ed imponente. Attraverso pannelli versatili, si osserva prendere vita l’intera vicenda, che trasporta l’osservatore dalle nude mura della stanza in cui Fantine attende impotente la morte, ai giardini del Lussemburgo in cui un amore di speranza vede la luce fino alla sanguinosa barricata della rivoluzione.
Immaginiamo arduo il lavoro di Andrea Viotti e Antonio di Pofi, rispettivamente artisti dei costumi e delle musiche, i quali si sono dovuti confrontare con le colossali rappresentazioni musicali sul grande schermo del dramma di Hugo. Ciononostante, il felice risultato è indubbio: Javert si presenta sul proscenio cupo nel vestire come la musica che lo accompagna, Cosette da piccola mendicante si trasforma in una giovinetta dell’alta società dalle gran vesti e la disgraziata Eponine muore coprendo i suoi quattro stracci con l’uniforme bonapartista, proprio lei che più tra tutti necessitava la “Liberté, Égalité, Fraternité” per cui è morta, martire.
La rappresentazione, prodotta dal Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, riesce dunque a rispettare l’intento catartico dell’autore, portando parallelamente alla fusione da una parte le narrazioni della vita dei Miserabili con la Storia di cui sono succubi e dall’altra le anime dispiegate sul palco con quelle che osservano dalla platea.