I percorsi di pace degli artisti del Gruppo Koinè

di Francesca Cazzaniga

Koinè Arte contemporanea: percorsi di pace tra memoria e liberazione. Mostra a Triuggio frazione Tregasio: 27 gennaio – 25 aprile 2024

“Per chi ha l’animo di un servo, la sola pace, la sola felicità è nell’avere un padrone e nulla è più faticoso e veramente spaventoso dell’esercizio della libertà”.

Carlo Levi

La paura è pietra pesante: opprime lo spirito, annebbia il pensiero, soffoca la parola, arma la mano, lega ai pregiudizi.

Sulle pietre dolorose della storia occorre inciampare, fermarsi, interrogarsi, ed infine schierarsi. Allora la pietra si fa pietra angolare e testimonianza. L’arte, se è tale, è esercizio di libertà, scava, apre spiragli accorrendo in aiuto nei momenti in cui è urgente il confronto con passaggi storici cruciali e con questioni etiche stringenti.

Gli interventi che il gruppo Koinè sta presentando sul territorio di Triuggio- Tregasio sollecitano e interpellano la sensibilità. È in corso una staffetta artistica che si dipana dalla Rotonda alla chiesetta di San Biagio, in tre tappe mensili, a collegare due date simboliche del calendario: il 27 gennaio e il 25 aprile. Memoria e liberazione.

“Linea pedonale” opera di Mariangelo Cazzaniga

Il tracciato è segnato in gesso da Mariangelo Cazzaniga (“Linea pedonale”). Siamo tutti un po’ viandanti, un po’ pellegrini, passiamo discreti con la fame di segni, di lasciarne, di trovarne. La grande storia avanza distillando le piccole storie tracciate da ogni singolo uomo.

“Attesa” opera di Nicola Manenti

La Rotonda ha ospitato “Attesa” di Giacomo Nicola Manenti: una gabbia metallica e due tronchi, violati dal gesto atroce del taglio. Ferita, singulto, anelito, forse un respiro da cui la vita torna a elevarsi contro ogni tirannia. Marco Gaviraghi Calloni (“Tokonoma”) vi ha ora installato vasche quadrangolari su un telo circolare, è la dimensione terrestre, segnata dai quattro punti cardinali. L’acqua, che è vita e possibilità di rinascita, incontra le sagome di due terre martoriate dalla violenza: Iran e striscia di Gaza.

“Tokonoma” opera di Marco Gaviraghi Calloni

Il respiro della cupola, simbolo della dimensione celeste, in entrambi gli interventi  rimanda a un Altrove che tutto sovrasta e trasfigura.

“Testimoni” di Chiara Colombo

Nell’area delle cascine troviamo i “Testimoni” di Chiara Colombo.

L’aggressività visiva dei rovi, simili al filo spinato, si somma a quella del gesto che graffia l’alluminio. Grazie a calibrate diversità di pressione della mano dell’artista, il caos diviene forma. È nelle ferite più profonde che s’insinua il colore ad olio, è sulle superfici intonse che si appoggia la luce generando sagome silenti.

“Barbaro dominio” opera di Valeria Cordara

Valeria Codara, in “Barbaro dominio”, distribuisce sull’aia parole immobili e isolate, ora ridicole, ora paradossali, ora incomprensibili. Sono le parole dell’ossessione autarchica fascista. Recidere la vena vivificante, tramite cui la lingua italiana s’è nutrita dell’incontro con le altre civiltà, equivale a rinnegare il nostro passato e a inaridire il nostro futuro.

“Le razze esistono o non esistono?” Opera di Michele Salmi

Le razze esistono o non esistono? In un gioco di specchi, Michele Salmi (“OS 37”) fa sì che la domanda incontri il volto di ciascuno. Discriminare o accogliere l’unicità riguarda prima di tutto noi, nel qui e ora.

Piero Macchini sarà presente sotto il fienile di cascina per tutto il periodo, con tre diversi lavori.

In “Memorie – atto I” nomi di internati nei campi, scritti su gracili fascette di carta sospese in balia del vento, sono l’immagine stessa della fragilità umana. Eppure, torcendo una con l’altra quelle fibre, affiancando nome a nome, un filo si dipana inarrestabile, così resistente da sorreggere il peso della memoria.

“Memorie – atto I” opera di Piero Macchini

In “Memorie – atto II” la leggerezza della carta e la raffinatezza di una scrittura segnica e misteriosa si scontrano con la pesantezza oscura della pietra. Ed è negazione di ogni civiltà, ed è distruzione. Negare l’accesso alla cultura ha rappresentato, e ancora rappresenta in molte aree del mondo, la violazione di un diritto inalienabile. Il gesto sacrilego di calpestare la carta bianca, luogo deputato alla creatività e al pensiero, rappresenta questa violenza vile e silenziosa.

“La memoria del corpo assente” opera di Armando Riva

Armando Riva (“La memoria del corpo assente”) stende sul fienile sette camicie da notte, ciascuna accompagnata da un proprio doppio, ri-flessione. Sono l’indumento più intimo e sono vuote, parlano di assenza. Sono reliquie di vite violate, come denuncia il catrame raggrumato, esposte al nostro sguardo.

Nei video di Stefano Ghesini Salvadori

(“Variazioni”-“Serenade”-“Valzer”), accessibili tramite QR code, esplode dirompente il contrasto tra la Bellezza artistica, manifestazione dei valori della tradizione occidentale, e la barbarie di ogni guerra. L’una genera, l’altra distrugge.

Si giunge, infine, alla chiesetta di S. Biagio. Nel primo mese Beppe Carrino vi ha esposto “Pietracolo”. La pesantezza della pietra viene trasfigurata dal candore di bande di tessuto bianco, tese su telai leggeri, vibranti di luce. Nascono oracoli di quella tensione verticale che spontanea insorge davanti alle bassezze perpetrate dall’uomo sull’uomo.

“Pietracolo” opera di Beppe Carrino

Anche Daniele Arosio, con “Pietre d’inciampo, pietre volanti”, dà vita a un movimento ascendente. Delle 49 pietre, alcune sono protese verso il cielo, obbligando lo sguardo ad elevarsi. Gli specchi restituiscono frammenti di cielo, di terra, dei volti di chi guarda. Quando non avremo più necessità di pietre d’inciampo a fermare il nostro passo distratto? Sette, l’unione di cielo e terra. Sette volte sette, la pienezza. 

“Pietre d’inciampo, pietre volanti” opera di Daniele Arosio

A fine marzo l’ultimo appuntamento con gli interventi di Giovanni Chirichella, Angelo Caprotti, Piero Macchini, Enzo Biffi.

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