1° agosto 1619: i primi Negroes arrivano a Jamestown in Virginia

imagedi Federico Cavalleri

Fu una giornata buia per la storia, anche se, probabilmente, quel giorno d’agosto in Virginia, il sole era alto nel cielo. Nel porto di Jamestown approdava una nave che batteva bandiera olandese. Non era un mercantile qualsiasi, uno dei tanti che solcavano l’atlantico per tornare con le ricchezze del Nuovo Mondo. Il suo carico era speciale, la sua era merce umana. Erano circa una ventina, erano i primi Negroes ad arrivare in una colonia britannica per essere fatti lavorare ma non furono schiavi.

Erano stati sottratti a un carico spagnolo diretto in America Latina e, come usavano i mercanti spagnoli, erano stati battezzati prima della partenza. Nell’America portoghese l’usanza di deportare africani per sostituire gli indios, decimati da violenze e malattie, nel lavoro in miniera o in piantagione era in atto da tempo, se fossero arrivati a destinazione il loro destino sarebbe stato ben peggiore. Invece, il codice inglese proibiva di fare schiavi dei cristiani, lavorarono come servitori a debito, una pratica piuttosto comune nelle colonie inglesi, molti accettavano di passare anni di servitù per pagarsi il viaggio verso le Americhe o per scampare alla prigione e alla fine del proprio periodo tornavano in libertà.

Quel viaggio rappresentò l’inizio della tragedia della tratta imageatlantica; in pochi anni il meccanismo della servitù di debito, malamente regolamentato, si trasformò in vera e propria schiavitù. Il sistema economico agricolo dei futuri Stati Uniti richiedeva un’enorme quantità di manodopera a basso costo e commercianti senza scrupoli videro la possibilità di guadagno.

L’oro alimentò un triangolo vizioso di denaro e violenza in cui armatori europei scambiavano braccia per cotone o tabacco e i negrieri africani scambiavano i propri fratelli in cambio delle armi e denaro necessaria ad accrescere il proprio potere.

La schiavitù non era un fenomeno nuovo per l’umanità né per l’Africa. Per la prima volta, però, assunse la dimensione globalizzata che gli imperi coloniali e mercantili europei avevano dato al mondo.

Le dimensioni di questo flusso di persone sono enormi, in circa due secoli si stima siano state deportati circa 12 milioni di africani verso le Americhe. Una vera e propria emorragia umana la cui cicatrice dura e duole ancora. Duole sia negli Stati Uniti, dove il razzismo, l’odioso strascico culturale dell’esperienza schiavista, ancora non è stato debellato, sia in Africa, dove le tensioni accumulate durante lo stato di guerra permanente per l’acquisizione di schiavi non sono state ancora riassorbite. Esse hanno generato nuove paure, nuovi mostri che popolano l’immaginario magico e che oggi rivivono nell’esperienza della migrazione verso gli stati europei.

La tratta atlantica non finì né con l’abolizionismo negli USA, né con l’Abolition Act inglese ma continuò, come ogni commercio, finché ci fu richiesta, concentrandosi sopratutto verso il Brasile e Cuba. Ancora oggi la richiesta di manodopera a basso costo e la disperazione mettono uomini nelle mani di altri uomini; nuovi negrieri hanno disegnato nuove tratte e ancora gambe e braccia di uomini e donne sono venduti con profitto, in ogni angolo del mondo.

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