di Francesco Troiano
Al bar, prendo un cappuccio con i pensieri aggrovigliati sulla spaventosa bolletta del gas da pagare. La ragazza ucraina che sta al bancone, che so chiamarsi T., sta parlando nella sua lingua con qualcuno al telefono.
Il barista mi avvicina la tazza fumante e inizio a sorseggiare con l’orecchio sulla voce sempre più rotta di T.
Non capisco una parola, ma intuisco che la voce dall’altra parte è quella di un uomo che lei sta tentando di convincere su qualche cosa.
Devo pagare. Lei, finisce la conversazione e si avvicina alla cassa. Ha gli occhi rossi. Si scusa, si volta per soffiarsi il naso e torna a guardarmi con quegli occhi arrossati e azzurri come il cielo.
“Devo pagare un cappuccio”
“Niente brioche?
” No, solo il cappuccino. Mi scusi se mi permetto: era al telefono con qualche suo familiare? “
“Sì, con mio papà che vuole andare in guerra. Ma lui ha cuore malato, e io non voglio”
“Non le nascondo che siamo tutti ammirati da questo vostro amor patrio, ma capisco le sue preoccupazioni, soprattutto stando in nazioni diverse …”
“Per noi è normale. Da sempre popolo di Ucraina difende propria libertà. Ma questa volta non accetto che mio papà può essere ammazzato. Non accetto! “
Pago il mio cappuccio, lei va a sedersi, tira fuori un altro fazzoletto, fa fatica a trattenere le lacrime. Non me la sento di dire “buongiorno” e uscire.
Mi siedo con lei, restando in silenzio. Dal vetro vedo le macchine sfilare, la gente a passo svelto andare in ufficio, una signora con la carrozzina, un uomo con il loden e al guinzaglio un cagnolino bianco tutto peloso.
Che legame c’è, fra noi e quelle persone senza più una casa? Che legame c’è, con questa ragazza, il suo fazzoletto pieno di dolore e suo padre a migliaia di chilometri di distanza?
Ora, però, so una cosa: chi se ne importa della bolletta.