I racconti del melograno: duecento metri

di Francesco Troiano

Duecento metri giusti giusti: dove porto il cane.
Un aiuoletta con del verde quasi al centro di una via dove un tempo, le macchine, arrivavano a tutta velocità.
Un tempo.

Quanto ci vorrà a scoprire, un mattino, la tua auto con iniziali crescite d’edera sulla portiera e un nido fresco fresco di rametti?
La mia, si sta coprendo di polvere (ci saranno anche le sottili, rimaste, ci ricorda l’ineffabile meteorologo Mercalli, anche con il tutto fermo).
L’avevo comprata a ottobre 2019: ho fatto in tempo a capire come si sta su un mini-suv; un andata e ritorno in campagna, e festa finita.
Dopo quarant’anni di lavoro e quarant’anni di macchine usate, a sessant’anni, la prima macchina nuova.
La prima e ultima.
Perché anche lei, forse, ben presto sarà corpo unico della foresta prossima che avanzerà.

In una foto ho visto anatre che si aggiravano come turisti nella piazza centrale di Sirmione. Nei commenti, un sirmionese, giura d’averne vista una sfoderare da sotto l’ala una piccola macchina fotografica e scattare al castello di Sirmione.
Effetti pseudo-devastanti da clausura? Chissà.
La rivincita della natura che si accorge del deserto umano, ha, qualcosa a che fare con la riappropriazione degli spazi: per una volta, dall’invenzione delle autostrade, i ricci riprenderanno ad attraversare senza aver fatto prima testamento.

Duecento metri, e passa la paura.
Quella strisciolina di aiuola sembra uno schizzo di tempera verde su un foglio bianco di duecento ettari. Il mio cane femmina odora come un cane da tartufi, e sembra non preoccuparsi minimamente della mia auto, della foresta, delle anatre e dei virus.

Torniamo a casa e la prima cosa che sento è un suono di campana: “dong”…
Quando la pappa chiama, con il suo nasone umido, spinge la ciotola del cibo contro quella dell’acqua per dirci “pappa.. pappa!”

Tutto il resto, passerà.
In cavalleria.

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