di Francesco Troiano
Era il 1971. In quei giorni Lucio Battisti spopolava in “Hit Parade”.
Mio fratello aveva un anno e io, imberbe quindicenne, portavo il cucciolo ai “giardini di maggio”.
Siccome le panchine erano tutte occupate, andai a sedermi su una panchina con un piccolo spazio affianco alle giovani donne: una signora “in attesa” che si accarezzava la pancia con lo sguardo perso nelle foglie dei platani, una appena sposata che raccontava a un’amica le avventure del viaggio di nozze, e una sui trentacinque che, come me, spingeva la carrozzina per far addormentare il piccolo.
Uscita dall’incantesimo nel fogliame, la signora incinta, improvvisamente, mi scruta ed esclama:
“E tu, che ci fai con la carrozzina…impossibile sia tuo figlio…sei un ragazzino..”
“No no, è mio figlio” rispondevo con grande disinvoltura.
“Coooosa? Ma non è vero…non è possibile..ma quanti anni hai scusa?”
“Quindici”
“Ah…”
La donna, con gli occhi strabuzzati, gira la testa verso le compagne in cerca di un commento che lei non riusciva a produrre per le fauci a salivazione azzerata.
Passato qualche minuto di silenzio oltretombale, le altre donne, senza salutare, non fecero altro che alzarsi e andarsene ognuna in direzioni diverse.
In quell’imbarazzo senza soluzioni, anche la puerpera con fatica si alzò e disse:
“Si è fatto tardi. Buonasera”.
“Buonasera” risposi.
Finalmente potevo starmene dieci minuti in santa pace con il mio walkman ad ascoltarmi Battisti che cantava “Giardini di marzo”.