di Francesco Troiano
Avrò avuto otto o nove anni, e la mattina di Natale mio padre mi portava al Sempione sulla torre del parco.
Sopra quel giocattolone con il ripetitore RAI come puntale, i bambini si divertivano un mondo. Poi si scendeva per andare a vedere i ragazzi che provavano i doni natalizi: i battelli telecomandati nel laghetto, i papà sul prato che facevano decollare gli aquiloni, le mamme sedute sui cordoli delle aiuole che mostravano alle figlie i timbri colorati o il pinocchio snodato, i giocattoli di legno di dieci secoli fa.
Nelle belle giornate del 25 dicembre, qualche volta, sul palchetto delle orchestrine, suonava la Banda d’Affori, dove un cugino di mio padre, che chiamavo zio, era un magnifico suonatore di piatti. Con il cuore in gola stavo lì ad aspettare il “momento cruciale”.
Lui si accorgeva sempre di me, qualche secondo prima mi faceva l’occhiolino e… “sglam-bum-sglam-bum” … due colpi di piatti e due di tamburo!
Indimenticabile emozione!
Lui si accorgeva sempre di me, qualche secondo prima mi faceva l’occhiolino e… “sglam-bum-sglam-bum” … due colpi di piatti e due di tamburo!
Indimenticabile emozione!
Io è il mio papà poi, ci sedevamo sulla panchina da cui si vedeva il Castello Sforzesco nella sua bellezza e imponenza.
Ogni tanto mi giravo a guardare mio padre illuminato da un raggio di sole che accarezzava la sua guancia destra perfettamente rasata, e mi sentivo bene accanto a lui.
Ogni tanto mi giravo a guardare mio padre illuminato da un raggio di sole che accarezzava la sua guancia destra perfettamente rasata, e mi sentivo bene accanto a lui.
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