di Francesco Troiano
Avevo circa quattordici anni e, quando ero giù a Pescara per le vacanze, mio zio subacqueo, di mattina presto, mi prelevava assonnato per portarmi in un luogo magico il cui nome era San Vito.
Oggi San Vito è una spiaggia come tante altre, ma allora sembrava la dimora di Calipso: alle sette del mattino, sui sassolini morbidi, al solo rumore dello sciabordio di acqua cristallina, avvolti dalla luce calda del sole già alto, indossavamo maschera e pinne e ci inoltravamo nell’immensa stanza liquida del mare capovolto.
I suoni di superficie sparivano dentro un mulinello di schiuma e, intanto, nel vetro della maschera, la realtà si colorava di azzurro, di verde e di blu profondo. Sotto di me vedevo rocce dalle forme più strane, una selva di pesci di ogni colore e una stella marina rossa e beige che avanzava come un cartone animato e che non avevo il coraggio di agguantare.
Un giorno vidi mio zio scendere in verticale mentre con la mano mi faceva cenno di avvicinarmi. Arrivato sul fondo infilò due dita nella sabbia per estrarre cannolicchi, i molluschi fra due lame di conchiglia sottile che mia zia faceva poi gratinati in forno con i pomodori. Anche le cozze e i ricci di mare riempirono il retino dello zio.
In spiaggia, seduti sul nostro asciugamano, un po’ di quei frutti odoranti di salsedine ce li preparammo spruzzandoci sopra il limone profumato e si assaggiava tutto lentamente, senza fretta. Nessuna paura delle malattie, perché l’acqua, se non fosse perché era salata, si sarebbe potuta bere senza problemi.
Visti dalla strada che correva sopra il piccolo promontorio, sembravamo due vecchi pescatori che, incuranti del tempo che passava, assaporavano e ridevano raccontandosi le storie del mare.