I racconti del melograno: Tecla

di Francesco Troiano – illustrazione di Filippo Carletti
Dai nonni in estate (ero un bimbetto di otto anni) dopo dieci minuti dal mio arrivo, veniva a chiamarmi Tecla, la figlia dei custodi, per andare a giocare.
 
La ricordo abbastanza bene: aveva un visetto da Heidi con gli occhi neri come due olive pugliesi, una treccina a grano d’estate e un vestitino rosso. Io scendevo con la canna da pesca di bambù e lo spago annodato in cima che mi aveva preparato il nonno.
 
Ci piazzavamo sul trabocco di legno proteso nel lago come un animale preistorico, e stavamo lì, con quella corda senz’amo infilata nello specchio immobile, ad aspettare che abboccasse la troterella della fantasia.
 
Spesso, senza dire nulla, guardavamo le ondine tranquille baciare i primi sassi della spiaggetta. Sotto un salice, dove iniziavano i gradini che davano sulla strada, c’era, da non so quanti anni, una barca azzurra abbandonata.
 
Facevamo finta di avere pescato e poi ci rifugiavamo dentro quella barca ad aspettare che il sole scendesse dietro la  montagna. 
 
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