di Daniela Annaro
In vita, erano in tanti a definirlo “divino”. Nella Roma papalina non era un aggettivo troppo usato né per gli uomini né tanto meno per le donne. Il cardinale letterato Pietro Bembo e Giorgio Vasari, antesignano della storia dell’arte, lo appellano proprio così: “il divin pittore“. E, a noi, a cinquecento anni dalla morte, la sua pittura si rivela celestiale, trascendente, seduttiva.
Di Raffaello Sanzio ( Urbino 1483 – Roma 1520), quest’anno, ricorre il V centenario della morte. Le tante iniziative, compresa la mostra più significativa a Roma, alle Scuderie del Quirinale, hanno dovuto fare i conti con il Covid 19. Il che ha voluto dire chiusura per tutto il periodo del lock down e conseguente contingentamento con la riapertura e posti ancora più limitati.
A fine agosto chiuderà e, da più di un mese, sul sito si legge che i biglietti sono esauriti nonostante il prolungamento degli orari di apertura. Ci sono opere che arrivano dai musei prestigiosi come il Louvre o la National Gallery di Washington, ma anche dagli Uffizi o dalla Pinacoteca di Bologna.
Raffaello nel corso della sua breve vita, (muore per malattia, forse una polmonite, a soli 37 anni) ha prodotto tantissimo lavorando per papi, cardinali, ricchi e potenti signori. Ha iniziato a Urbino, alla raffinata corte dei Montefeltro, per poi lavorare a Perugia con Pietro Vannucci, detto il Perugino, a Firenze e, infine, a Roma, in Vaticano.
E’ qui che dà vita alla “Grande Maniera” del Rinascimento, è qui che troviamo i suoi capolavori dopo decine di pregiatissime Madonne e straordinarie pale di altare. Alla corte pontificia, dove lavorano grandissimi maestri ( un nome su tutti Michelangelo) risistema una porzione del secondo piano dell’appartamento di Papa Giulio II della Rovere che affida al venticinquenne Raffaello l’intero progetto. Dal 1508 al 1511, il Sanzio sviluppa da un punto di vista iconografico l’ordinamento ideale della cultura umanistica divisa in teologia, filosofia, poesia e giurisprudenza. Un capolavoro assoluto: per conoscere, amare e apprezzare l’Urbinate è questo il luogo dal quale non si può prescindere.
Da osservare con grande attenzione, la Stanza della Segnatura dove un tempo si riuniva il tribunale ecclesiastico. Figure bibliche e mitologiche, poeti e pensatori dell’antichità e del Medioevo animano le pareti affrescate. Sono protagonisti Cristo, Apollo, Platone e Aristotele, mentre sulla volta quattro soggetti femminili indicano la via per raggiungere il sapere divino. A queste corrispondono quattro affreschi parietali: la Disputa del SS. Sacramento, il Parnaso, le Virtù teologali e la Legge, la Scuola di Atene. E su quest’ultima conviene soffermarsi di più: al centro Platone, nelle sembianze di Leonardo da Vinci, e Aristotele. A destra in basso, il calvo Bramante nei panni di Euclide con il compasso in mano si esercita sulla geometria, su un cubo di marmo il cupo Eraclito ha le fattezze di Michelangelo che in quel tempo dipingeva a porte chiuse la Cappella Sistina. Tra i due non correva buon sangue tanto da non comparire nel cartone ora esposto a Milano, alla Pinacoteca Ambrosiana.
Il grande storico dell’arte Federico Zeri paragona la Stanza della Segnatura, per la sua complessità e bellezza al Cenacolo leonardiano. Come dargli torto.