di Roberto Dominici
Il 12 febbraio è una data importante per il mondo scientifico; si celebra infatti la nascita di un gigante della scienza moderna avvenuta nel 1809: Charles Darwin, il coraggioso innovatore, il naturalista autore della teoria della evoluzione delle specie viventi, sopravvissuta per oltre 150 anni, in un mondo, quello della biologia che è totalmente cambiato, rivoluzionando non solo la nostra visione delle scienze della vita e della scienza in generale, ma anche il nostro modo di considerare noi stessi e la modalità di fornire una spiegazione degli eventi, introducendo la prospettiva storica in cui il fattore tempo, diventa fondamentale.
Oltre al suo altissimo significato biologico, la teoria di Darwin sovverte del tutto la tradizionale nozione del posto che l’uomo occupa nella natura, che non è più il “re del creato”, ma è considerato come la più elevata delle forme organizzate presenti sulla terra, che hanno avuto nel corso dei tempi una successione, una storia, denominata evoluzione le cui cause sono strettamente naturali, cioè suscettibili dell’analisi scientifica sistematica.
Darwin, sosteneva che le variazioni morfologiche degli esseri viventi erano dovute alla casualità escludendo dalla considerazione della natura ogni finalismo di un’azione provvidenziale di un Dio creatore. Nasceva quindi una polemica con i cosiddetti creazionisti i quali rifiutavano una spiegazione meccanicistica e naturalistica dello sviluppo della vita che escludesse un qualsiasi intervento sovrannaturale.
Oltre un secolo dopo, nel suo libro il “Caso e la necessità”, Jacques Monod si inserisce nella polemica affermando che “le alterazioni nel DNA” sono accidentali, avvengono a caso; e poiché esse rappresentano la sola fonte possibile di modificazione del codice genetico, a sua volta unico depositario delle strutture ereditarie dell’organismo, ne consegue necessariamente che soltanto il caso è all’origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera. Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell’evoluzione: oggi questa nozione centrale della Biologia non è più un’ipotesi fra le molte possibili o perlomeno concepibili, ma è la sola concepibile in quanto è l’unica compatibile con la realtà quale ce la mostrano l’osservazione e l’esperienza.
Monod opera una sintesi tra il caso che origina le mutazioni e il rigido determinismo che opera nel meccanismo della selezione naturale nel momento in cui l’essere vivente mutato si deve mettere alla prova con l’ambiente. Niente lascia supporre che si dovranno, o anche solo potranno, rivedere le nostre idee in proposito. I principali punti su cui è basata la teoria evoluzionistica di Darwin sono: variabilità dei caratteri, ereditarietà dei caratteri innati, adattamento all’ambiente, lotta per la sopravvivenza, selezione naturale ed isolamento geografico.
Per queste ragioni Darwin affermò che in un mondo di popolazioni stabili, dove ogni individuo deve lottare per sopravvivere, quelli con le “migliori” caratteristiche di adattamento avranno maggiori possibilità di sopravvivenza trasmettendo quei tratti favorevoli ai loro discendenti. Col trascorrere delle generazioni, le caratteristiche vantaggiose diverranno dominanti nella popolazione.
Questa è la selezione naturale. Come ha scritto il mio amico professor Telmo Pievani, nel suo libro la Vita inaspettata (2011): l’essere umano è uno dei tanti arbusti del cespuglio della vita, sopravvissuti alla lotta per l’esistenza….; …la storia evolutiva come un intrico di biforcazioni privo di direzioni privilegiate….una specie quella di Homo Sapiens si è fatta strada in una natura che non perdeva occasione per schiacciarlo, facendogli provare il senso della solitudine nell’Universo.
L’improvvisa irruzione del caso sulla scena della vita ha creato un disagio anche superiore all’idea di essere parenti stretti delle scimmie; ma la preponderanza del caso porta a innumerevoli possibilità a ciascun essere vivente in quanto è come se tutti gli individui godessero delle stesse probabilità di progredire, all’insegna di una democrazia universale della natura , con il vantaggio che ad ogni generazione, l’ambiente vaglia chi è in grado di vivere e chi no, e dopo con la nuova generazione si rimescolano di nuovo le carte.
Chi ha convinzioni religiose ha spesso difficoltà con i fenomeni evolutivi, e non ama l’idea che nella vita si dispieghi la potenza del caso e che l’uomo possa non essere l’evoluzione di un progetto divino. Questo modello non richiede la presenza di un Dio, ma bisogna riconoscere che se fosse opera di un’intelligenza suprema non si potrebbe che restarne ammirati.