Il futuro di media e intrattenimento si chiama YouTube

JamieOliverdi Alessandro Arndt Mucchi

È in corso un cambiamento radicale nel mondo dei media, sia sul fronte dell’informazione che su quello dell’intrattenimento. Anzi, il cambiamento c’è già stato e nei paesi più attenti è già stato metabolizzato, ma da noi in Italia (dove ancora la televisione è il mezzo principale di comunicazione, con la sua bassa definizione e i programmi tarati sul vecchio pubblico di casalinghe di Voghera) si fatica a prendere il treno verso il futuro.

Come dicevamo i cambiamenti sono due in realtà, ma sono connessi tra loro ed espressione dello stesso fenomeno: oggi praticamente chiunque può diventare produttore di contenuti. Se una volta l’informazione era nelle mani solo della stampa e dei giornalisti di professione, oggi tutti possiamo far sentire la nostra voce con un video su YouTube, un blog o una pagina Facebook dedicata all’argomento che più ci interessa. Questo spostamento degli equilibri tra fruitori e creatori ha shockato i media tradizionali che di colpo si sono ritrovati ad avere una concorrenza spietata e fondamentalmente imbattibile.

In principio erano i forum, dove gli esperti (ma più spesso e più semplicemente gli appassionati) di un certo argomento ne discutevano distribuendo consigli più o meno validi, mentre oggi il fenomeno è allargato ad ogni angolo dello scibile. C’è un canale YouTube che parla di fumetti, uno che parla di astronomia, uno di cosmetici, uno di politica internazionale… Insomma c’è un canale per tutto, anzi, ci sono decine, centinaia, migliaia di canali per tutto.

Ovviamente non tutti sono interessanti e non tutti offrono prodotti di alto livello, ma ci sono canali YouTube girati in veri e propri studi professionali con attrezzature all’avanguardia, tecnici, registi, montatori e scrittori. Pensiamo per esempio allo stellato chef britannico Jamie Oliver che su Food Tube ha quasi due milioni di iscritti, o al canale di approfondimenti scientifici Scishow che 3 volte alla settimana pubblica un video per rispondere alle domande dei suoi 2.790.000 spettatori. Gli esempi si sprecano, ma non serve per forza parlare inglese per capire il fenomeno. In Italia sono i live player a farla da padrone, ragazzi come LorenzoFavij” Ostuni (2 milioni di iscritti) che giocano col computer riprendendosi e intrattenendo milioni di giovani e giovanissimi, ma non mancano canali dedicati anche ad altro.

La domanda che sorge spontanea è ovviamente “chi paga?” Abbiamo parlato di studi e di attrezzature, ma anche chi sembra meno curato sotto il profilo tecnico, impiega ore e ore a registrare e montare da sé. La prima fonte di guadagno su YouTube è data dalla pubblicità: ogni visualizzazione genera utili, ma per arrivare ad avere cifre importanti bisogna parlare ad un pubblico di centinaia di migliaia di persone, e anche in quel caso certo gli introiti non bastano a coprire le spese a voler fare il salto verso una produzione più professionale.

YouTube-Logo-348x156Sempre rimanendo sul fronte del marketing troviamo il product placement, il citato Jamie Oliver nei suoi video utilizza ingredienti di marche specifiche che vengono portati in scena a favor di camera, mentre per quanto riguarda alcuni live player c’è un gettone che, tra il detto e il non detto, viene dato dalla casa produttrice del gioco per ogni video sui propri prodotti. Recentissimo è lo scandalo che ha coinvolto Machinima (canale da più di 12 milioni di iscritti) e Microsoft: la Federal Trade Commission americana ha reso pubblici i risultati di una sua indagine dalla quale scopriamo che Microsoft, tramite una società terza, pagava alcune personalità note per parlare bene dei propri prodotti sul canale Machinima, senza però rivelare al pubblico gli accordi. Stiamo parlando di cifre che raggiungono i 30.000 dollari per singolo video, e che di fatto erano promozioni mascherate da pareri personali.

Il noto portale si difende parlando di vecchie abitudini che non si ripeteranno (gli eventi sono del 2013), e promette un giro di vite tirando un sospiro di sollievo: la FTC non ha emesso sanzioni, ma minaccia di farlo nel caso gli eventi si ripetano.

Da ultimo, tra i metodi di pagamento, dobbiamo registrare quello delle sottoscrizioni degli utenti. Grazie a servizi come Patreon è possibile infatti abbonarsi ai canali, pagando la quota che si ritiene giusta e dando così il proprio contributo all’iniziativa. Al netto di donazioni particolarmente onerose, questo è il mezzo meno redditizio a disposizione dei creatori di contenuti, ma probabilmente quello eticamente più trasparente.

Sul fronte di giornalismo e media cosa succede invece? Se guardiamo di nuovo agli Stati Uniti vediamo una vera e propria gara tra i talk show per la conquista della rete: partendo da David Letterman per arrivare a John Oliver (passando per Jimmy Fallon, Jay Leno, Conan O’Brien e tanti altri) i vari anchormen curano sempre di più la loro presenza su YouTube, ed anche la stampa tradizionale si affida con crescente interesse al mezzo informatico (ma il rampante Vice News parla con una lingua più vicina al pubblico della rete rispetto alla CNN e alla britannica BBC).

In Italia si procede più lentamente, ma qualche segnale positivo non manca anche se l’impressione è che non sia ancora stata trovata una strada definita. YouTube è stato accolto con diffidenza e ancora uno dei maggiori attori del settore, Mediaset, non ha deposto l’ascia di guerra. Ma anche da noi il cambiamento è in arrivo.

Cosa succederà in futuro in realtà è difficile da dire, è probabile che dal brodo primordiale di questa nuova forma di comunicazione, informazione e intrattenimento emergano vincitori solo i più abili, e il rumore di fondo che adesso rende difficile individuarli sparisca pian piano.

Sarà importante rendere più trasparente il rapporto tra sponsor e creatori di contenuti, e soprattutto ci vorrà del tempo perché i maggiori riescano a conquistare l’autorevolezza e l’affidabilità che, fino a oggi, erano ad esclusivo appannaggio delle testate tradizionali.

 

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