di Francesca Radaelli
Macchinista ferroviere. Così si definisce Pier Guagnetti, oggi che è in pensione, parlando del tempo in cui guidava i treni. Nelle sue parole riecheggia la mitologica Locomotiva di Guccini. Un po’ per scherzo: “Giovane non lo sono più, bello non è detto che lo sia stato”, dice lui. Ma un po’ anche sul serio, perché quando si è alla guida di un treno -forse – non si può fare a meno di sentirsi, almeno un pochino, degli eroi solitari.
D’altronde quello del macchinista è un mestiere che sognano i bambini mentre, accanto alla mamma, guardano passare i treni in stazione. Oppure mentre giocano con il trenino elettrico, nelle loro camerette.
Pier Guagnetti, cresciuto a Bovisio Masciago, una vita alla guida dei convogli delle Ferrovie Nord, macchinista lo è diventato quasi per caso, o forse per destino.
“Da bambino non avevo il sogno di guidare il treno”, racconta al Dialogo di Monza. “Certo, sono cresciuto in una casa che si trova a cinque metri dalla ferrovia, tra Bovisio e Varedo. I treni, da bambino, li ho sempre visti sfrecciare davanti ai miei occhi. Poi, finite le scuole superiori, mentre cercavo un lavoro, si è presentata la possibilità di fare il concorso per le Ferrovie Nord, che oggi non esistono neanche più”. Superato il concorso, il 1° settembre 1976 Pier Guagnetti entra in Ferrovie Nord Milano e, dopo nove mesi di scuola guida, inizia a guidare i treni sulle linee regionali che collegano Milano ad Asso, Como, Laveno, Novara.
Il treno
I treni degli anni Settanta erano molto diversi rispetto a quelli a cui siamo abituati oggi. “Innanzitutto erano marroni”, ricorda il macchinista. “I vagoni di prima classe sembravano dei salotti, con i sedili imbottiti di velluto rosso. In seconda classe, invece, c’erano delle panche di legno. Sotto i sedili le stufe usate per riscaldare il vagone ustionavano tutto ciò con cui venivano in contatto”. Il grande miglioramento che c’è stato in questi anni è sul fronte della sicurezza. “Prima era il macchinista a dover capire di volta in volta, dal segnale in stazione, se si poteva procedere oppure no. Ricordo ancora certe nebbie della pianura di Novara, in mezzo alle risaie. Ora invece tante procedure sono automatizzate. La cabina del macchinista assomiglia molto a quella del pilota di un aereo”. Però Pier Guagnetti un treno a guida autonoma non riesce proprio a immaginarlo nel prossimo futuro. “Sono stato anch’io sulla linea Lilla a Milano. È impressionante non vedere un collega alla guida in testa al primo vagone. Però un conto è la metropolitana, che compie un percorso protetto. Ma un treno senza macchinista non è pensabile oggi. Le responsabilità di chi guida sono comunque sempre tantissime”.
I viaggiatori
Nel corso di una vita trascorsa sulle Ferrovie Nord Pier Guagnetti ha visto cambiare anche i viaggiatori. “All’inizio della mia carriera i treni regionali li prendevano i pendolari, lavoratori e studenti. Gruppi di persone che prendevano lo stesso treno si ritrovavano ogni giorno alla stessa ora sui vagoni: i treni erano luoghi di socialità in cui si poteva anche giocare a carte. Alcuni si sono persino sposati, dopo essersi conosciuti in treno!”.
Oggi invece spesso i passeggeri tengono la testa china sul proprio smartphone. “Sui treni si possono vedere, in un certo senso, alcune caratteristiche della nostra società. Ma anche la mobilità è cambiata. Oggi viaggiano tutti, non solo i pendolari, e in tutti gli orari. Il treno viene affiancato ad altri mezzi di trasporto: ci sono punti di interscambio con pullman, metropolitana”. Sicuramente è un modo di spostarsi più ecologico rispetto all’automobile. “Certo, il trasporto ferroviario andrebbe potenziato”, sottolinea Pier Guagnetti. “Ci vorrebbe una bella ‘cura del ferro’, come la chiamiamo noi ferrovieri. Ma il problema vero sono i costi molto alti da sostenere per rafforzare treni e rete ferroviaria”.
La libertà
Guidare un treno dà un grande senso di libertà. “In questo lavoro devi comunque rispondere a dei superiori, ma quando guidi sei libero, da solo, in cabina”. Ma una vita avanti e indietro mette in contatto anche con le persone che salgono e scendono dal treno: “Ogni giorno vedevo persone diverse e, anche se ‘non si parla al conducente’, durante le soste non è mai mancato lo scambio umano”. E a volte, al conducente, non sono mancati nemmeno gli applausi dei passeggeri: “Come quando fermai il treno per non investire un cane che si era posizionato in mezzo ai binari e non voleva saperne di andar via: accumulai un ritardo di 7 minuti, ma i viaggiatori approvarono la mia scelta”.
I ferrovieri
I treni è più facile farli partire che fermarli, rivela Pier Guagnetti. E ora che è in pensione lui ogni tanto il treno lo prende ancora, da passeggero però. I colleghi ferrovieri lo accolgono come uno di famiglia. “Un tempo tra ferrovieri ci si riconosceva anche dall’odore: il ferroviere puzzava di ferro. Avevamo un freno di ottone che lasciava un odore terribile sulle mani”.
Quella dei ferrovieri, “categoria da sempre molto sindacalizzata”, era una specie di società chiusa: “Era come essere in caserma, eravamo tutti maschi”, ricorda. “ Poi dagli anni 80 hanno iniziato ad arrivare le prime donne, in netto ritardo rispetto ad altri paesi europei. Allora c’è stato un cambiamento. Forse oggi abbiamo perso un po’ di solidarietà di categoria, ma abbiamo anche abbandonato un certo linguaggio un po’ maschilista che ci contraddistingueva”.
Insomma nel corso di 40 anni di carriera treni e ferrovieri sono cambiati parecchio. Anche i treni delle Ferrovie Nord Milano non ci sono più, sostituiti da quelli di Trenord.
I macchinisti, però, continuano a chiamarsi tra loro ‘maestro’.
E Pier Guagnetti, anche se dal 2015 è in pensione, abita ancora a pochi metri dalla ferrovia.
A volte il treno, quando passa di lì, lo saluta con un fischio.
Dieci domande a Pier Guagnetti
1. Quando hai deciso di fare questo lavoro?
In realtà non l’ho deciso, è capitato. Nel 1976, quando mi sono iscritto al concorso delle Ferrovie Nord.
2. Perché?
Perché cercavo un lavoro e si è presentata questa occasione.
3. Come descriveresti il tuo lavoro, in una frase?
Un lavoro ‘libero’. Mi ha permesso di vivere proprio il senso della libertà.
4. Una dote che bisogna proprio avere per svolgere il tuo lavoro.
Pazienza. E calma.
5. Il peggior difetto di chi svolge il tuo lavoro.
Il fatto che a volte i macchinisti ‘se la tirano’ un po’, si ritengono superiori rispetto agli altri ferrovieri.
6. Qual è il lato più bello del tuo lavoro?
La vista. Il fatto di poter lavorare guardando fuori dal finestrino.
7. Qual è il lato più difficile?
Il rumore della sveglia nelle mattine d’inverno, quando devi fare il primo turno.
8. La cosa più divertente che ti è capitata al lavoro.
La grande nevicata del 1985. Per tre giorni abbiamo lavorato sotto la neve, senza dover rispettare nessun orario (gli orari erano completamente saltati). Quando entravamo in stazione la gente ci applaudiva come degli eroi.
9. Come pensi sarà il tuo lavoro fra 30 anni?
Più o meno come ora. Il grande cambiamento è già avvenuto nei decenni scorsi. Però sarà tutto sempre più tecnologico e informatizzato.
10. Dove trascorrevi le tue ferie?
Un po’ dappertutto. In vacanza ho sempre cercato di stare lontano da treni e ferrovieri. Ma ovunque sono andato, ho quasi sempre trovato dei colleghi!