Il mito di Woodstock

di Enzo Biffi

Ogni mito che si rispetti vede la luce quasi sempre in modo casuale e misterioso. Spesso è pure un po’ finto ma soprattutto, per essere tale, deve essere irripetibile. Altra cosa fondamentale che accomuna tutti i miti sta nel fatto che essi possano sopravvivere ed esser tramandati, nonostante di loro si conosca poco. 

Voglio dire che, se anche le informazioni che se ne hanno sono sommarie, la volontà e/o necessità di crederci ha il sopravvento. Spesso poi tendono a coincidere ed identificarsi con un preciso momento storico e con qualche slogan d’effetto.

Quindi, riassumendo Woodstock: simbolo sessantottino, tre giorni di pace, amore e musica.

Come in tutti i riassunti, la narrazione è ben più varia. Certamente il tutto avvenne nell’estate del 1969, più precisamente dal 15 al 18 agosto; innegabile fu la presenza della musica, sicura anche la presenza di una volontà forse un po’ semplicistica di far pace, e pure dell’amore almeno in qualcuna delle sue innumerevoli forme.

D’altra parte non sarò certo io a raccontarvi del mezzo milione di persone diventate un milione e dei tre giorni previsti diventati poi almeno quattro e della scaletta di giovani talenti diventati poi giganti della musica pop, rock, folk…tutto questo fin nei dettagli è scritto, filmato e tramandato ovunque. Wikipedia docet.

Certo come ogni buon mito che si rispetti anche per Woodstock c’è qualche parere discordante, chissà, forse più lucido – Eddie Kramer che lì era andato per lavorare, sintetizza così l’esperienza:
«Tre giorni di droga e fango, è stato un incubo! La mia missione era incidere su nastro tutto quello che avveniva sul palco. Gran bel lavoro in teoria, ma quando sei l’unico essere umano lucido in mezzo a 500 mila strafatti, le cose si complicano. Artisti, manager, security, staff: tutti fuori di testa. Ricordo un mixer in fiamme e un gruppo di tecnici in preda all’lsd che gli danzava intorno. Nessuno lo spegne? chiedo io. Noi non rubiamo il lavoro alle nuvole fu la risposta».

Avvio del festival, discorso di apertura di Swami Satchidananda

Perfino per Santana (La presentazione è superflua) la situazione fu un po’ complicata: «Non sono mai stato così fatto di fronte a così tanta gente – ammette – Farsi un trip di LSD di fronte a 400.000 persone, è difficile controllarsi.»

Insomma, tutto come da copione, grande mito grandi detrattori, pro e contro, viva Bartali e viva Coppi.
Se resta qualche indubbia verità storica, Woodstock fu l’icona perfetta di un’epoca, inaspettata, quasi totalmente spontanea e di enorme impatto sul costume, musicale e non, che venne dopo.

Sopra ogni altra razionale spiegazione, quello che ne resta è una chitarra elettrica suonata a urlo, monito disperato di una generazione nuova che, giocoforza, cambiò un po’ il mondo.

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