Per tutti è un mostro: condannato per l’omicidio degli zii e per averne smembrato e nascosto i cadaveri, Riccardo Berio sta scontando l’ergastolo dopo la sentenza definitiva. Ma non è questa la sua unica colpa, l’uomo, proveniente da una famiglia agiata dell’hinterland milanese, trascorreva le sue giornate da recluso volontario nella villetta bifamiliare condivisa con le vittime, senza avere un lavoro, senza intrattenere rapporti con altri, senza una vita sentimentale. Ancora studente a quarant’anni, rappresentava una anomalia nel tessuto sociale della zona, avendo uno stile esistenziale così fuori dal consueto. Addirittura, il movente stesso della strage viene individuato nell’invidia che egli avrebbe provato nei confronti dei due anziani parenti, che formavano una coppia vivace in grado di godersi la vita.
Dopo aver subito un processo rivelatosi una vera e propria gogna mediatica, nel corso del quale non è stato capace di difendersi né di avere un buon patrocinio da parte del suo avvocato, Riccardo decide di affidare alla parola scritta la propria verità sulla vicenda.
Ne scaturisce il ritratto di un uomo ironico e riflessivo, vittima della sua stessa incapacità di agire, che ha avuto un solo grande amore e la cui vera colpa è quella di non aver saputo adeguarsi alle aspettative degli altri.
Prendendo spunto da un episodio di cronaca nera realmente avvenuto, Matteo Ferrario, al suo secondo romanzo, conferma la propria abilità nella costruzione e nell’approfondimento psicologico dei personaggi; molto attento nel mettere in evidenza l’influenza e i condizionamenti che l’ambiente circostante esercita sui suoi protagonisti, riesce a raccontare ancora una volta una storia complessa, usando una scrittura essenziale e misurata che si attiene strettamente ai fatti narrati, senza artifici miranti a suscitare simpatia nei lettori.
Un romanzo potente, che lascia il lettore in compagnia di un dubbio: forse, il prezzo più alto da pagare per i propri errori è quello di essere costretti a vedere se stessi attraverso gli occhi degli altri.
Valeria Savio
Buongiorno, premetto di non avere ancora letto il romanzo, cosa che farò al più presto, visto che oltretutto ho conosciuto personalmente Matteo quando è intervenuto a una presentazione del mio primo romanzo, qualche tempo fa. Non sono in grado di commentare entrando nel merito quindi, anche se la trama così come è presentata mi sembra molto interessante e intrigante, tuttavia, basandomi su questo articolo, c’è una parte di esso che mi lascia perplesso, e cioè questa: “…usando una scrittura essenziale e misurata che si attiene strettamente ai fatti narrati, senza artifici miranti a suscitare simpatia nei lettori.” Ecco, al di là dello stile personale che ogni autore ha, credo però che il compito di uno scrittore non sia quello di descrivere freddamente e in modo distaccato una serie di avvenimenti, reali o immaginari non ha importanza, che uniti insieme danno origine a una trama, senza suscitare emozioni in chi legge. Quello semmai è il compito del giornalista, non certo di un autore di narrativa. Se io, scrittore, descrivo una scena, poniamo, in cui ci sono due personaggi che compiono determinate azioni, non posso certo limitarmi a descrivere qui personaggi e ciò che essi fanno ma devo invece cercare di immedesimarmi nella mente di entrambi, ora di uno e ora dell’altro, devo cercare di immaginare e di descrivere quelle che sono le loro emozioni, i loro stati d’animo, i loro sentimenti, le loro sensazioni, la loro percezione dell’ambiente che li circonda in relazione a ciò che sta avvenendo intorno a loro e a ciò che essi stessi stanno compiendo in quel momento, in quella scena, ma non basta, occorre che quel mio modo di descrivere emozioni e quant’altro arrivi ai lettori e faccia loro provare le medesime sensazioni ed emozioni che stanno provando i personaggi e che sto provando io stesso mentre scrivo, occorre cioè che il lettore, mentre legge, sia così coinvolto da avere quasi l’impressione di essere egli stesso lì con i protagonisti e di vivere le loro stesse situazioni e le loro stesse emozioni, immedesimandosi e partecipando agli avvenimenti. Tempo fa iniziai a leggere “La legge del deserto” di Wilbur Smith; bene, la storia in sé era avvincente ma abbandonai la lettura dopo neanche 30 pagine domandandomi come sia possibile che un autore così arido e assolutamente non in grado di suscitare pathos nel lettore abbia potuto avere il successo che ha avuto. Tutto si riduceva a una fredda descrizione cronologica di una serie di avvenimenti, i personaggi erano privi di spessore, di caratterizzazione, poco più che sterili marionette senza emozioni e senza personalità che si muovevano assecondando i fili tirati in maniera noiosissima dall’autore. Ora invece, ad esempio, sto leggendo “L’ombra dello scorpione” di Stephen King, e mentre leggo sono lì, insieme ai personaggi, vivo le loro stesse emozioni, i loro stessi stati d’animo, ne resto talmente coinvolto che mi sembra quasi di poter dialogare con loro. Ecco, questa credo sia la differenza fra uno scrittore mediocre e un grande scrittore.
Buongiorno Luciano, visto che la recensione parla di un libro che tu non hai letto, e che il tuo commento parla di due libri che io non ho letto, sono d\’accordo sul fatto che manchino i presupposti per qualsiasi discussione. Per quanto mi riguarda, e nel rispetto di chiunque la penserà diversamente a lettura conclusa, la recensione di Valeria Savio offre una chiave di lettura attenta, interessante e stimolante del mio secondo romanzo, evidenziando gli elementi di continuità rispetto al primo, e per tutto questo non posso fare altro che ringraziarla.
Buongiorno Luciano, visto che la recensione parla di un libro che tu non hai letto, e che il tuo commento parla di due libri che io non ho letto, sono d’accordo sul fatto che manchino i presupposti per qualsiasi discussione. Per quanto mi riguarda, e nel rispetto di chiunque la penserà diversamente a lettura conclusa, la recensione di Valeria Savio offre una chiave di lettura attenta, interessante e stimolante del mio secondo romanzo, evidenziando gli elementi di continuità rispetto al primo, e per tutto questo non posso fare altro che ringraziarla.