Il poeta che confessò di aver vissuto

NERUDA

di Francesca Radaelli

“Vengo da un’oscura provincia, da un paese separato da tutti gli altri da una geografia tagliente. Fui il più abbandonato fra i poeti e la mia poesia è stata regionale, dolorosa e piena di pioggia. Ma ho sempre creduto nell’uomo. Non ho mai perso la speranza”.

Con queste parole si racconta, nel 1971, uno dei più grandi poeti del XX secolo, il migliore di tutti secondo Gabriel Garcia Marquez. Il suo nome è Ricardo Eliezer Neftalí Reyes Basoalto, è nato il 12 luglio del 1904 a Parral in Cile e ha appena ricevuto il premio Nobel per la Letteratura. In realtà tutti lo conoscono come Pablo Neruda, pseudonimo con cui ha iniziato a pubblicare le prime poesie, per non farsi scoprire dal padre, che non doveva avere una grande considerazione per i poeti.  Il nome con cui il grande letterato cileno è ora universalmente noto altro non è che un omaggio a Jan Neruda, scrittore e giornalista cecoslovacco, morto nel 1891 a Praga e conosciuto per aver sempre dato grande spazio e voce al mondo della povera gente.

Francobollo dedicato a Pablo Neruda.
Francobollo dedicato a Pablo Neruda.

Un approccio condiviso anche da Pablo, poeta che non per caso divenne estremamente popolare, tanto nel suo Cile quanto nel mondo intero, e che è ancora oggi uno dei più amati. Persino sul web e i social network, dove accade anche che il suo nome sia associato a versi che non ha mai scritto (è il caso per esempio dell’ormai celebre “Lentamente muore,…”, poesia scritta in realtà da una poetessa brasiliana).

‘Confiedo que he vivido’, Confesso che ho vissuto, è il titolo dell’autobiografia uscita nel 1974, quando ormai il poeta era morto (si spense, in circostanze misteriose nel 1973, dopo il colpo di stato di Pinochet,  in ospedale, dove era ricoverato per un tumore alla prostata). Una vita vissuta intensamente, la sua, che lo ha portato a sposarsi ben tre volte e a viaggiare per il mondo, prima come diplomatico in Sud-est asiatico e in Europa, poi in esilio, allontanato dal suo Cile dal presidente Videla. Neruda lo aveva coraggiosamente attaccato in parlamento nel 1948, in un celebre discorso passato alla storia come ‘Yo acuso’, in cui il poeta, divenuto senatore, denunciava la dura repressione con cui il governo aveva colpito i minatori in  sciopero, imprigionandoli in veri e propri campi di concentramento.

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Ma se da membro del partito comunista cileno  cercò sempre di lottare al fianco del suo popolo (e anche di quello spagnolo, sostenendo i repubblicani durante la Guerra di Spagna), è soprattutto con la poesia  che Neruda dispiega la sua maggiore generosità. Attraverso una produzione ricchissima e incessante, un fiume di parole, immagini sensuali, simboli e archetipi, che parlano della sua terra e del paesaggio del Cile, di passioni e amori, di povertà e riscatto. Insomma, di tutto ciò che è vita intensa e pulsante. Quella vita che il grande poeta confesserà, infine, di avere vissuto, con gusto e felicità piena. E che ha avuto il merito di raccontare con tutta la forza della sua poesia.

Francesca Radaelli

Questa volta lasciami

essere felice,

non è successo nulla a nessuno

non sono in nessun luogo,

semplicemente

sono felice

nei quattro angoli

del cuore, camminando,

dormendo o scrivendo.

Che posso farci, sono felice,

sono più innumerabile

dell’erba

nelle praterie,

sento la pelle come un albero rugoso,

di sotto l’acqua,

sopra gli uccelli,

il mare come un anello

intorno a me,

fatta di pane e pietra la terra

l’aria canta come una chitarra.

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