Il primo tram di Monza

di Francesca Radaelli

È l’8 luglio 1876, ore 12 circa. Il principe Umberto di Savoia arriva a Monza.

Non sappiamo se fu quella la prima volta che il figlio del re Vittorio Emanuele II fece il suo ingresso nella città della Corona Ferrea. Sicuramente non fu l’ultima. Monza è una città a cui Umberto è destinato a rimanere legato per la vita: la vicinanza con la duchessa Litta, la Villa Reale, Gaetano Bresci…

L’entrata in Monza di quel mattino di luglio, però, è da ricordare per il modo in cui avviene. O meglio, per il mezzo: una carrozza trainata da cavalli. Come i principi delle fiabe.

O quasi. Non siamo in una fiaba, ma nel 1876, cioè in piena rivoluzione dei trasporti, e la carrozza in questione è la prima delle otto che compongono la nuova tranvia a trazione animale che collega Milano e Monza: la prima interurbana ad essere costruita in Italia. Quell’8 luglio è il giorno dell’inaugurazione ufficiale e il principe Umberto ha l’onore di effettuare il primo viaggio a bordo. E anche l’onere, si potrebbe dire: stando ai resoconti dell’epoca, il convoglio impiega non meno di tre ore a percorrere i tredici chilometri previsti, con anche l’inconveniente di un piccolo deragliamento non lontano dalla meta.

Un tram a cavalli della della Società Anonima degli Omnibus, ricostruito per una manifestazione del dopolavoro della ATM, Milano 1934

È un mezzo di trasporto che oggi apparirebbe quantomeno singolare, il tram a cavalli. Nel 1876, invece, era un simbolo del progresso industriale. Si tratta dell’evoluzione del già familiare (all’epoca) omnibus a cavalli: le vetture, trainate da cavalli, circolano ora su un binario, posto direttamente sulla sede stradale. Ciascuna può contenere tra le quaranta e le quarantacinque persone. La linea parte da porta Venezia, a Milano, e giunge a Monza in Largo Mazzini. Dal 1883 il nuovo capolinea monzese verrà poi fissato all’Arengario.

Quel mattino di luglio con l’arrivo al sospirato traguardo di Monza arriva anche la gloria. Non tanto per il futuro re d’Italia che, speriamo, si sarà goduto il viaggio. Ma piuttosto per il vero ‘eroe’ della mattinata: Emilio Osculati, direttore della Società Anonima degli Omnibus (SAO), e artefice dell’operazione. Seduto sulla vettura inaugurale vicino al principe, al prefetto, al sindaco di Milano e a diversi assessori, deve aver vissuto quelle tre ore di viaggio con non poca apprensione. Ma ora che tutte le carrozze sono arrivate, e tutto è andato liscio, riceve la sua bella onorificenza: la croce di cavaliere della Corona d’Italia. Intanto, il futuro re brinda ‘all’industria nazionale’.

Proprio il progresso dell’industria, del resto, segnerà la fine di questo singolare mezzo di trasporto. Nemmeno 20 anni dopo, nel 1895, la SAO del cavalier Osculati verrà liquidata e nella gestione delle linee a trazione animale subentrerà la Edison. La linea tramviaria Monza-Milano verrà progressivamente elettrificata a partire dal 1900. Proprio l’anno in cui il principe, giunto a Monza in carrozza 24 anni prima, nel frattempo divenuto re, a Monza troverà la morte.

Intanto, però, il primo tramway monzese inizia a stimolare le arti e la creatività.

Alla tranvia a cavalli viene dedicato un gioco di società (non dissimile dal gioco dell’oca): il giuoco del tramway. E persino un superalcolico: il liquore Tramway, tonico corroborante ideato da Giuseppe Galimberti. Oggi lo chiameremmo merchandising.

Il tram diviene anche un facile bersaglio della satira, per le sue ‘colpe’ ataviche: lentezza e affollamento.

“Morettina dove vai?/ -vado a Monza col tramway/ So e giò per i rutai/ Che a Monza el riva mai”: così recita il primo stornello dedicato al tram (scritto da don Davide Albertario, direttore dell’Osservatorio Cattolico), poco tenero con i ‘tempi’ di percorrenza di allora.

Eppure proprio la lentezza del tram è all’origine di una prelibatezza brianzola. Visto che per andare da Monza a Milano occorrono delle ore, i viaggiatori iniziano a portare con sé uno spuntino: per lo più del pane, arricchito con l’uvetta. Oggi si chiama Pan Tramvai. In passato, a volte, veniva utilizzato dal tramviere al posto dei soldi, quando non aveva le monete sufficienti per dare il resto a chi acquistava il biglietto.

Il pan tramvai

Non mancano, infine, disegni e litografie che testimoniano la calca degli aspiranti passeggeri al momento di salire in carrozza. A guardare le immagini ci si sorprende della somiglianza con gli odierni treni dei pendolari (o dei vacanzieri). Ma anche di quanto diverse potessero essere le strade delle nostre città: percorse da cavalli e affollate di persone, invece che di automobili.

 

 

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