Il punto sulla crisi: intervista ad Alberto Berrini. Ultima parte
Riguardo all’Italia cosa proponi?
Dobbiamo imboccare con decisione la strada di una politica economica tesa al rilancio dello sviluppo, i cui punti essenziali sono due: una politica industriale che sostenga le imprese manifatturiere e favorisca i processi di concentrazione. La stessa politica industriale deve aiutare il posizionamento strategico delle imprese nei settori ad alto valore aggiunto. Molti imprenditori hanno insistito nel cercare la competizione sui costi, perdendo quote di mercato senza innovare.
Inoltre serve una politica fiscale, che orienti le banche al credito verso imprese e famiglie e le scoraggi dall’investimento speculativo attraverso una tassa sulle transazioni finanziarie.
In conclusione quali scenari?
La gravità della crisi ha condotto la politica monetaria verso la “non convenzionalità” sia di obiettivi che di strumenti. È lecito chiedersi perché non è possibile prevedere un’analoga scelta per l’intera politica economica.
Il “keynesismo strutturale”, che almeno parzialmente trova già applicazione negli interventi di sostegno all’economia attuati da Obama negli USA, rappresenta a mio avviso il riferimento di una nuova politica economica in grado di condurre, o quanto meno avvicinare, il capitalismo a quel “mutamento fondamentale” che rende tale modello economico socialmente e ambientalmente sostenibile.
In definitiva, il tema di cui stiamo discutendo, è quello del “riformismo”. È possibile, alla luce della devastante attuale crisi, intraprendere una via diversa da quella liberista, che dal 1979, pur in forme diverse, è egemone a livello mondiale?
È impensabile ricondurre il capitalismo, che pure ha rappresentato per molti l’uscita dalla miseria, a quel “mutamento fondamentale” a cui si è arrivati così vicino nell’età dell’oro.
Nel marzo del 1933, in una situazione economica e sociale molto simile a quella attuale, Keynes così scriveva sul Times a proposito della crisi: “Siamo in una situazione simile a quella di due camionisti che si incrociano nel mezzo di una strada stretta e sono bloccati l’uno di fronte all’altro perché nessuno conosce in quel caso le regole della precedenza. I loro muscoli non servono; un ingegnere non potrebbe aiutarli; ipotizzare una strada più larga non servirebbe a nulla per uscire da quell’impasse. Servirebbe soltanto una piccola, piccolissima, chiarezza nel pensare. Allo stesso modo oggi il nostro problema non è un problema di muscoli e di forza. Non è neanche un problema di ingegneria. Non possiamo neanche parlare di un problema di business e di imprese. Non è neanche un problema di banche. Al contrario, il nostro è stricto sensu un problema economico o, per meglio dire, un problema di economia politica”. Un problema di economia politica in quanto si presenta come una miscela di teoria economica e arte di governo. Dunque un problema, è bene ribadirlo, di economia politica da cui derivano le scelte di politica economica. Siamo al punto in cui le soluzioni tecniche hanno raggiunto il limite e ci vorrebbero soluzioni politiche basate su visioni, modelli, idee.
Servirebbe una riforma del capitalismo che vada oltre la degenerazione finanziaria dello stesso. Riformare significa cambiare la struttura di un sistema, non modificarne i parametri (esempio età pensionabile).
Si tratta di costruire un nuovo paradigma che tenga conto degli avvenimenti straordinari intervenuti. Il rischio è di non riuscire a superare le sfide epocali che abbiamo descritto e che sono proprio di fronte a noi: chi vuole una società buona, oltre che libera, deve farsi venire in mente qualche idea. Un compito che coinvolge tutti.
Fabrizio Annaro