di Daniela Annaro
Le nuove generazioni, forse, non sanno chi è stato Slobodan Miloševic, prima presidente serbo e poi presidente della Repubblica federale di Jugoslavia,composta da Serbia e Montenegro. Milošević è morto dodici anni fa, l’11 marzo 2006, mentre era detenuto nel carcere di Scheveningen all’Aja ( Paesi Bassi), presso il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, dove era sotto processo per crimini gravissimi.
Un satrapo, così qualcuno lo ha definito. Un dittatore folle, che con la complicità di altre figure di primo piano nella guerra di Bosnia, voleva sterminare le popolazioni non serbe, soprattutto i musulmani. Pulizia etnica e stupro sistematico, queste le parole d’ordine di quel terrificante conflitto a pochi chilometri dal nostro paese.
Per comprendere quello che avvenne bisogna tornare indietro nel tempo.
E’ necessario risalire alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso,al crollo del muro di Berlino, nel 1989, nove anni prima era morto il Maresciallo Tito. La presidenza veniva affidata ogni anno a rappresentanti delle sei repubbliche yugoslave. E’ in questo contesto che Milosevic emerge e occupa il palcoscenico della politica europea.
Slobodan Milosevic – ha denunciato Paolo Mieli, giornalista e storico – ha riassunto in se’ i caratteri del fascismo e del comunismo, i due totalitarismi del secolo, li ha messi insieme in un impasto balcanico che ha stupito tutto il mondo occidentale.
In un primo tempo, proprio per la sua efferatezza, i governanti europei si erano affidati a lui, pensando fosse in grado di tenere uniti i Balcani, da sempre sorta di tallone d’Achille d’Europa. Solo a meta degli anni Novanta ci si è resi conto che così non sarebbe stato. Anzi. Il suo sogno della grande Serbia comincia con la modifica unilaterale della costituzione, riducendo l’autonomia del Kosovo, provincia autonoma delle Repubblica Federale Jugoslava, dove erano riesplose rivendicazioni autonomiste, ferocemente represse da Slobodan Milosevic. E’ il primo passo della dissoluzione dello stato federato che Tito, per oltre quaranta anni, era riuscito a mantenere unito superando conflitti etnici e religiosi. Milošević scatena il nazionalismo serbo a danno di croati, sloveni e bosniaci, nonché kosovari che, a loro volta, rivendicano autonomia e indipendenza. Rivendicazioni accompagnate da eccidi e massacri. La guerra nei Balcani provocata dal dittatore Milosevic inizia nel marzo del 1991 e andrà avanti per dieci anni.
300.000 furono i morti, 2 milioni i profughi, migliaia e migliaia gli stupri e le violazioni dei diritti umani. Nel 1999 interviene la Nato per porre fine a questa tragedia: furono 34.000 le missioni aeree e migliaia le bombe sganciate che colpirono anche obiettivi civili. Milosevic viene arrestato nel giugno del 2001. Il 30 agosto il procuratore Carla Del Ponte annuncia che l’ex presidente serbo sarà chiamato a rispondere di nuovi e più gravi crimini, compresa l’imputazione di genocidio. Il processo, iniziato nel 2002, non sarà mai completato. Nel marzo 2006, in circostanze ancora poco chiarite, Milošević muore in carcere all’Aja.
Infarto? Avvelenamento? Sono passati molti anni da allora. Ogni tanto ricircola una notizia falsa sulla sua riabilitazione e sulla sua assoluzione dall’accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Nulla di vero. Milošević è morto prima che Il tribunale dei Paesi Bassi potesse emettere la sentenza che non c’è mai stata. Una fake news, si dice oggi, alimentata secondo il prestigioso settimanale Internazionale da mezzi di informazione russi e serbi nel tentativo di riabilitare Slobodan Milošević.