da Giannella Channel
Michele Ballerin, scrittore e saggista romagnolo da me apprezzato, ha ripubblicato a distanza di cinque anni il suo Gli Stati Uniti d’Europa spiegati a tutti (Guida Editori), con un testo notevolmente arricchito con gli eventi succedutisi negli ultimi anni, dalla Brexit inglese alla sfida dell’immigrazione africana, ma con un nucleo di pensiero solido: le pagine contengono, oggi come cinque anni fa, l’unica sintesi disponibile del pensiero federalista applicato ai grandi temi dell’attualità.
Ballerin, con uno stile limpido e accattivante, getta luce sul progetto dell’integrazione europea, sulle ragioni per cui è ancora incompiuto e sul perché oggi è indispensabile completarlo. Che cosa manca all’Unione europea per essere una vera federazione? In che senso un governo federale potrebbe dare una soluzione ai grandi problemi dell’agenda politica europea: deficit democratico, disoccupazione, sicurezza, immigrazione? Qual era la visione dei padri fondatori e perché è ancora attuale?
È giusto che lo segnali a quanti, davanti al bivio storico tra la nuova via dell’integrazione sovranazionale e la pericolosa riproposizione dei vecchi nazionalismi, si accingono a entrare nella cabina elettorale, il 26 maggio prossimo, in occasione delle ottave elezioni per il Parlamento europeo. Queste utili cento pagine, scritte in forma di dialogo, forniscono (come chiarisce il sottotitolo: Guida per i perplessi) gli strumenti necessari per compiere una scelta responsabile. A me piace segnalare, dall’ultimo capitolo, il ruolo decisivo che per le prossime elezioni avranno i giovani, quelli della Generazione Erasmus, nati e cresciuti in un’Europa senza confini: per il loro voto, per il voto che saranno in grado di influenzare a genitori e parenti. (s.g.)
Caro Ballerin, ti aspetti che i giovani europei si mobilitino sotto la bandiera dell’unità europea?
“Questa decisione spetta a loro, naturalmente. Quello di cui sono convinto è che siano mobilitabili, per usare la tua espressione. Se il progetto europeo verrà messo in discussione, i giovani europei saranno obbligati a intervenire per garantirne il successo, per una ragione semplicissima: perché non hanno un altro spazio culturale, sociale ed economico in cui abitare, dato che quello nazionale gli è ormai precluso, appunto perché troppo angusto, incapace di nutrire le loro aspettative. E che cos’è un giovane senza aspettative? Sbaglierò, ma quando verrà il momento di decidere sul loro destino io credo che i giovani faranno la scelta giusta. Non vedo alternative. Non si può adescare un giovane europeo con una politica che prometta il ritorno alla vecchia valuta nazionale e il ripristino delle frontiere. È contro natura, per così dire… È impossibile, o per lo meno è molto, molto difficile”.
Ammesso che tu abbia ragione, credi che i giovani possano avere un peso, anche numerico, sufficiente a cambiare le cose? Non mi risulta che rappresentino tipicamente il grosso dell’elettorato.
“Si sente dire talvolta che i giovani costituiscono una porzione di elettorato troppo ridotta perché possano sperare di impensierire i governi con le loro rimostranze. Questa osservazione è talmente superficiale che merita di essere trascurata. L’aspetto puramente demografico non è affatto quello decisivo: i giovani europei possono anche essere una minoranza sul piano numerico, ma sul piano qualitativo il loro potenziale è enorme. Non bisogna dimenticare che in questo settore della società si concentra il massimo di energia vitale insieme al massimo di istruzione: non è mai esistita una generazione così diffusamente acculturata come quella dei Millennials – che ha usufruito, per la prima volta nella storia, dell’università di massa – ed è questo a farne la leva sociale e politica più adatta per dare inizio al cambiamento. Dove la giovane età si incrocia con un buon livello di istruzione, lì abbiamo lo strato sociale da cui può nascere l’innovazione culturale e politica. Il Sessantotto partì dalle università. È naturale che sia così”.
Dunque si dovrebbe partire da lì: dalle università.
“Sì. Perché la qualità vince sulla quantità. Non sono le dimensioni a sviluppare energia: spacca l’atomo e avrai la reazione a catena, e poi la conflagrazione nucleare… Una volta che l’aspirazione a un rinnovamento della vita politica europea avrà impregnato di sé l’atmosfera sociale a partire dai giovani più istruiti, anche i settori meno vivaci e consapevoli della società finiranno per smuoversi dal proprio immobilismo e lasciarsi trascinare, con forza crescente, nella giusta direzione. Allora il tentativo di mobilitazione avrà avuto successo, e le nuove generazioni avranno adempiuto al proprio compito storico. Tutto quello che deve accadere è che maturi in loro la coscienza di se stesse in quanto nativamente europee. E personalmente lo ritengo un processo inevitabile, oltre che irreversibile. Sarà il conflitto con le vecchie generazioni, sempre più tentate dal ripiegamento nazionalistico e dalla difesa di vecchi privilegi e vecchie tutele, a provocare il risveglio politico di quelle più giovani, e a indicare loro l’unità europea, la democrazia sovranazionale, come l’unica prospettiva di redenzione sociale e politica. Ogni ventenne europeo dovrebbe essere informato di questo fatto straordinario: del fatto che, per quanto piccolo e isolato, è un atomo e contiene un’energia immensa, che può muoverne altrettanta intorno a sé. Deve solo inquadrare bene i termini della questione – la sua questione personale, strettamente intrecciata a quella europea, che è il problema dell’unità politica – e scoprire, e poi fatalmente abbracciare, l’unico pensiero politico che può fornirgli la soluzione, in termini sia ideali che tecnici: il pensiero federalista”.
Non ho difficoltà ad ammettere che quello che dici mi riesce nuovo, e al tempo stesso mi smuove qualcosa… Non so. Spero solo che tu abbia ragione.
“Chi può dirlo? Lo spero anch’io… Ma sono certo che le nuove generazioni di europei stiano per farsi carico della responsabilità storica di unire l’Europa. La loro missione specifica è portare la politica al livello sovranazionale, che è il livello in cui si trovano i problemi da affrontare e le loro soluzioni. E il federalismo è lo strumento per farlo, perché è – precisamente – la scienza del sovranazionale: la tecnica per costruire le istituzioni comuni con cui governare quei processi globali da cui ormai dipende la qualità delle nostre vite. Completare il progetto europeo per riportare la politica e la democrazia in Europa è l’imperativo della nostra epoca, e i giovani, molto più degli anziani, hanno orecchie per udirlo e occhi per vederlo. I giovani parlano e capiscono il linguaggio del sovranazionale. È la loro lingua franca. Ed è il linguaggio del federalismo”.
Si può concluderne che il classico conflitto generazionale oggi assomma nuove linee di frattura: oltre a quella socioeconomica (con i giovani gravati dal debito che le generazioni precedenti hanno maturato) ora anche quella politico-culturale che fa perno sul sentimento europeo, e che vede i giovani identificarsi sempre più con il progetto dell’integrazione mentre i più anziani cedono alla tentazione di rinnegarlo.
“Sono d’accordo. Parlare oggi, come si è sempre fatto, di ‘inglesi’, ‘francesi’, ‘spagnoli’, ‘tedeschi’ o ‘italiani’ in relazione al problema dell’identità culturale e del senso di appartenenza all’Europa significa commettere un errore sociologico, perché sotto questo profilo nessuno di quei blocchi sociali può considerarsi omogeneo. È un fenomeno che si può osservare molto bene nelle società più soggette al richiamo del vecchio nazionalismo, come quelle dell’ex blocco sovietico, Ungheria e Polonia fra tutte. Qui la faglia che separa gli anziani, tendenzialmente nazionalisti, dai giovani, prevalentemente filoeuropei, è particolarmente larga e profonda. Il nuovo e il vecchio si affrontano a viso aperto, in quella che assomiglia molto a una resa dei conti ed è in realtà lo specchio di tutta l’Europa, e di un futuro, io credo, ormai molto prossimo”