di Alfredo Somoza
Il cambiamento di alleanze nello scenario siriano ha stupito molti, ma in realtà segue una sua perversa logica. Gli Stati Uniti, almeno a parole, avrebbero scaricato gli alleati curdi siriani dandoli in pasto alla Turchia di Erdoğan, che è pronta a spazzarli via dalla zona di confine, occupando anche una fascia di territorio siriano a dispetto di qualsiasi regola del diritto internazionale. Purtroppo nulla di nuovo.
Nella sua storia il popolo curdo, appartenente al grande gruppo linguistico indoeuropeo, ha trovato un momento di unità soltanto quando, sotto l’Impero Ottomano, costituiva la provincia del Kurdistan. Poi i curdi sono diventati forse la più importante tra le nazioni senza Stato e senza diritto. Cioè dei gruppi etnici, linguistici, religiosi e politici che, nel periodo della configurazione degli Stati odierni, restarono senza uno Stato riconosciuto. All’epoca non si trattò dell’esproprio di un territorio, come nel caso dei palestinesi o dei sahrawi, il popolo del Sahara occidentale, bensì della negazione di una soggettività politica sovrana.
Insomma, dal punto di vista del diritto internazionale, i curdi sono più simili ai popoli nativi americani che ai palestinesi. Nessuna istanza internazionale sostiene il loro diritto all’autodeterminazione. Eppure qualcosa è cambiato negli ultimi anni. In particolare nel caso del Kurdistan iracheno – di fatto i curdi autogovernano il nord dell’Iraq come se fosse uno stato autonomo – e anche in Siria, a seguito del valore militare dimostrato dai curdi nella lotta contro Daesh. Più che ai curdi iracheni, però, quelli siriani sono vicini a quelli turchi, e quindi assimilabili, secondo Ankara, ai “terroristi”. Termine col quale la Turchia, Stato nel quale attualmente la democrazia è sospesa, qualifica chi si batte per l’autonomia o l’indipendenza curda.
Gli Stati Uniti invece non hanno opinioni in merito. Hanno usato i curdi, come altre decine di popoli in giro per il mondo, come strumento della loro politica estera. Senza la copertura aerea e le armi statunitensi, difficilmente i curdi avrebbero vinto Daesh. Ma lo stesso si può dire per gli Stati Uniti, se non avessero avuto il supporto dei curdi sul campo. Qualcosa di simile era già successo all’epoca della guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein, il quale fu catturato proprio dai curdi e poi consegnato ai marines. I curdi erano stati sollecitati da Washington affinché si ribellassero contro il tiranno, per poi essere dimenticati al momento di riorganizzare il Paese dopo il conflitto: in quel caso riuscirono lo stesso a tutelare la loro autonomia. Il destino delle nazioni senza Stato è questo, accettare alleanze spericolate nella speranza che ciò li avvicini all’agognata indipendenza, per poi essere regolarmente traditi.
Oggi i curdi sono stati traditi non soltanto dagli Stati Uniti ma anche dai membri della coalizione vincente in Siria. Davanti alla minaccia di creazione di un protettorato turco dentro i confini siriani, non si è alzata nessuna critica né da parte dell’Iran né del miracolato dittatore Bashar al-Assad, che probabilmente vede di buon occhio che sia qualcun altro a “sistemare” i curdi. Soprattutto, se la Turchia sta violando le frontiere siriane, oltre al palese disco verde di Washington ha anche quello della Russia, la vera vincitrice del conflitto siriano.
Perché questa unanimità contro i curdi da parte di potenze tra loro antagoniste, come USA e Russia? Perché le nazioni senza Stato spaventano, sono pericolose: se riescono a diventare Stato alimentano le cento cause irrisolte che in tutto il mondo riguardano i diritti dei popoli. Per questo i popoli come i curdi sono utili nei momenti di caos geopolitico, come nel conflitto siriano, ma diventano scomodi non appena la situazione si normalizza. Sono carne da cannone, combattenti che si possono sostenere anche militarmente perché colpiscano il nemico del momento, ma che poi vanno ridotti in condizione di non nuocere. E soprattutto senza mai consegnare loro l’agognato premio, l’indipendenza. Sarebbe un cattivo esempio, e di brutture il mondo è già pieno.