di Rebecca Casati
“Guardati da te stesso” disse Zeus a Narciso, e secondo D. De Kerckhove, sociologo e giornalista, è ciò che dovremmo fare anche noi: prestare attenzione a quello che l’uomo stesso ha creato che è anche “il suo risultato più straordinario e da cui esso dipende” (E. Hobsbawm, Il secolo breve). Perché? La tecnologia è davvero un nostro nemico?
Il dibattito su questo argomento è ancora aperto e vede da un lato i “positivisti”, ovvero coloro che sostengono l’importanza della tecnologia e del suo sviluppo in quanto amica dell’uomo (si pensi ad esempio alla velocità a cui viaggiano le notizie su Internet, alla facilità con cui ci si può connettere e chiacchierare de visu con persone a migliaia di chilometri di distanza). D’altra parte però si conta un cospicuo numero di persone che sostengono l’importanza di un maggiore controllo sulle nuove tecnologie, data la loro diffusione. Questa controparte si avvale di ragioni consistenti come il cyberbullismo, nato appunto negli ultimi anni ma non per questo meno “efficace” data la sua accessibilità (infatti un insulto pubblicato su una pagina web è visibile da tutti, cosa che rende il bullo ancora più potente).
Inutile dire che entrambi gli schieramenti hanno le loro ragioni e per questo non sempre è facile dare un giudizio che si trovi completamente in accordo con una delle due parti. È vero che con le tecniche sviluppate finora si è riusciti a fare dei passi importantissimi per l’uomo ma è anche vero che ogni medicina ha le sue controindicazioni. Si pensi a 1984, l’iconico romanzo di Orwell, in cui la tecnologia diventa un mostro e, assumendo le sembianze di un grande occhio, seppellisce l’uomo e la sua creatività.
Potreste credere che stia esagerando proponendo questa prospettiva ma pensateci bene: quanto dipendono dalla tecnologia? Quanti di noi appena svegliati controllano impulsivamente le email? Quanti a colazione scorrono il dito sullo schermo freddo del telefono per leggere le ultime notizie? Quanti sarebbero disposti a rinunciare al proprio cellulare?
La verità nuda e cruda è che viviamo in uno stato di connessione permanente senza il quale ci sentiamo vuoti, vuoti come le nostre menti assuefatte dalla frenesia e dal bisogno di novità. Non siamo più in grado di avere un occhio critico verso la società a causa di centinaia di influencer che dettano legge e si arricchiscono con le diottrie che lasciamo sullo schermo. Purtroppo è così e in questa “galassia internet” in cui siamo immersi non è più possibile ignorare il ruolo svolto dai social network e il peso che hanno sulle nuove generazioni, tanto che ormai anche la scuola, con l’adozione del registro elettronico, è diventata dipendente dalla tecnologia e che il “non prende” è diventata la frase più pronunciata dai professori in classe. In più anche le relazioni nell’era di internet risultano più superficiali, basate sul numero di “mi piace” e cuoricini mandati in chat. È vero che l’amore rende stupidi ma far dipendere una relazione da certe frivolezze è inaccettabile.
Ecco dunque come viene sfatato il mito di internet come dio amorevole che unisce i popoli. Se vogliamo fermarci alle sue potenzialità, come ogni altra invenzione è in grado di fare miracoli, ma prima che sia lui a controllarci dobbiamo essere in grado di utilizzarlo il meglio possibile, avvalendoci della nostra presunta superiorità in quanto creatori. E se fosse troppo tardi? Se fossimo già diventati come il caro vecchio dottor Frankenstein?