di Isabella Procaccini
“BeatleStory” è un’immersione nell’epopea dei Beatles che ripercorre l’intera storia dei Fab Four dal ’62 al ’70 in un concerto con oltre quaranta dei loro più grandi successi. Dalle strade di Liverpool agli anni della Beatlemania fino ai grandi capolavori in studio.
Due ore intense di hits indimenticabili come She Loves You, I Want To Hold Your Hand, Twist and Shout, Yesterday, Hey Jude. Inoltre costumi fedelmente riprodotti, strumenti dell’epoca, esecuzioni live al limite della perfezione con le stesse scalette eseguite all’epoca dai Beatles.
“BeatleStory” è interpretato da Patrizio Angeletti (John Lennon), Claudio Jemme (Paul McCartney), Roberto Angelelli (George Harrison), Armando Croce (Ringo Starr), Aleks Ferrara (Keyboard) e sarà in scena sabato 19 dicembre alle ore 21.00 presso il Teatro Manzoni di Monza che con questo spettacolo inaugura la stagione Musica&Danza (http://www.teatromanzonimonza.it/abbonamento-musicadanza/).
Per l’occasione abbiamo intervistato Patrizio Angeletti che vestirà i panni del mitico John Lennon.
In che senso “BeatleStory” è uno “show multimediale”? Raccontaci un po’ cosa vedremo sul palcoscenico…
“BeatleStory” vuole raccontare la storia di uno dei gruppi più celebri di sempre, appunto i Beatles, attraverso cambi di scena e cambi di costume che ripercorrono la loro storia dal ‘62 al ’70, anno del loro scioglimento. Rappresentiamo i momenti più importanti del loro percorso attraverso le canzoni più famose, la ricostruzione degli abiti originali e il supporto tecnico di alcuni video che hanno il compito di aiutarci a raccontare mentre suoniamo. Ma hanno anche il compito di narrare e anticipare il periodo storico che andiamo a interpretare, mentre facciamo i cambi di abito. Per questo motivo è multimediale, è uno spettacolo che è sia video che audio.
Perché i Beatles? Come nasce l’idea?
L’idea nasce da me e da Roberto Angelelli (George Harrison), che siamo un po’ il motore di questo spettacolo e di questo gruppo. Roberto ha avuto modo di confrontarsi con i Fab Four anche in passato, prima con gli Apple Pies, un gruppo che ha lavorato anche qui in Italia, e poi con il musical “Let it be” che ha raggiunto i palcoscenici dell’Inghilterra e di Broadway. Abbiamo in comune questa forte passione, abbiamo voluto fortemente sviluppare uno spettacolo che non avesse precedenti in Italia e abbiamo deciso di intraprendere questo viaggio, reclutando una forte squadra di musicisti e di tecnici all’altezza di uno spettacolo che speriamo meriti successo.
Che effetto fa essere John Lennon?
Beh, sicuramente è una responsabilità importante… Per tutti noi lo è vestire i panni di Ringo, di George, di Paul! Quando siamo sul palco sentiamo di rappresentare una parte importante della storia della musica e della cultura pop che fa da sfondo alla musica dei Beatles. Una responsabilità importante certo, ma anche un grosso orgoglio e un grosso piacere, anche perché sicuramente Lennon è uno dei personaggi più rappresentativi della musica pop di quest’ultimo secolo grazie ai tantissimi pezzi che ha scritto e all’importanza politica che ha avuto, soprattutto all’interno di quel ventennio compreso tra il 1960 e il 1980.
Qual è il pezzo che preferite suonare? Perché?
È una domanda che ci fanno in molti, ma tuttora non sappiamo ancora rispondere unanimemente! Io personalmente sono legato ai pezzi del primo periodo e ho una passione innata per Help! che è un pezzo che secondo me rappresenta l’essenza di John in quel momento nei Beatles. Gli altri preferiscono altri pezzi, c’è chi preferisce canzoni posteriori come Something… insomma, ognuno ha un proprio pezzo preferito. Il mio sicuramente è Help!.
“C’è molta Italia nei migliori Beatles tribute show mondiali”. Che cosa fece, e che cosa fa ancora oggi la musica dei Beatles agli italiani?
È una storia un po’ particolare quella dell’Italia nei confronti dei Beatles. È una storia di amore/odio perché quando il gruppo fece in Italia, negli anni ’60, il suo mini tour di tre/quattro giorni non fu accolti proprio come negli altri paesi, ci fu poca partecipazione e anche la TV non li pubblicizzò moltissimo. L’amore degli italiani per i Beatles è nato un pochino a posteriori rispetto a molti altri paesi che, invece, ne hanno goduto nel momento di esplosione. L’Italia è stata più lenta a comprendere la cultura British, anche perché noi abbiamo una cultura musicale totalmente opposta, molto lontana da quella dei Beatles. Forse uno dei motivi per cui questo spettacolo funziona è perché anche chi ha potuto godere dei Beatles qui in Italia in quel periodo, cinquant’anni fa, non ha conosciuto a fondo, tanto quanto l’Inghilterra per esempio, i Beatles stessi. Quindi risulta quasi una novità questo gruppo rispetto a tanti altri generi musicali che invece qui in Italia hanno fatto breccia nei cuori degli appassionati di musica.
E oggi invece? Perché le canzoni dei Beatles sanno ancora parlare ed emozionare il mondo?
Io credo che la storia sia un po’ come una spirale, perché non si ripete sempre alla stessa maniera, ma si somiglia molto. Di anno in anno, di decennio in decennio c’è un circolo che in qualche modo ritorna sempre sui propri passi. Quindi se negli anni ’50, il periodo del dopoguerra, i Beatles cantavano con la voglia di uscire dagli schemi, di manifestare la gioia attraverso la musica, di esprimere le proprie idee a fronte di quelle che venivano imposte, allora possono essere visti così in questo momento storico, anche da molti giovani che si avvicinano a loro per la prima volta grazie anche a questo tipo di spettacoli. Questo gruppo è spesso motivo di ispirazione per i giovani. Non è un caso che in questo periodo difficile per il mondo intero molti pezzi dei Beatles, di McCartney o di Lennon vengano sentiti così spesso. Imagine per esempio. È uno dei pezzi più ascoltati e più sentiti in questi momenti perché canzoni come questa hanno messaggi davvero forti, ieri come oggi.
Perché vedere “BeatleStory”?
Perché è uno spettacolo che abbraccia una fascia di pubblico molto ampia: chi ha vissuto il periodo dei Beatles grazie a questo spettacolo può rivivere le emozioni che visse in quel momento… è uno spettacolo per nostalgici! Allo stesso tempo, però, è anche uno spettacolo per chi non ha mai visto i Beatles, per ragazzi giovani della nostra età (la nostra band è composta da ragazzi che girano intorno ai venticinque anni) che si avvicinano oggi a questo gruppo e che non hanno avuto la possibilità di conoscere i Beatles nel momento della loro esplosione.