
A Colloquio con Roberto Rampi recentemente nominato Garante dei diritti dei detenuti del Carcere di Monza. Intervista a cura di Villy De Luca
Ho incontrato Roberto Rampi durante la sua attività politica ed in alcune visite al Carcere di Via San Quirico di Monza con l’Associazione Nessuno Tocchi Caino.
Mi è sembrato una persona molto sensibile al tema della situazione Carceraria. Cosa che si è confermata durante i dialoghi con detenuti e con gli operatori. Ho percepito una profonda umanità. Rampi crede fermamente che le strutture carcerarie debbano essere luoghi di rieducazione rispetto al reato commesso. Una possibilità concreta per il detenuto che, scontata la pena, possa riacquistare tutti i diritti e i doveri di cittadino libero, nel rispetto delle leggi dello stato, con la possibilità di svolgere un lavoro, avere una casa e quindi una vita dignitosa.
I numeri del Carcere di Monza
Riporto alcuni dati relativi alla Casa Circondariale di Monza considerando che, sotto alcuni aspetti, ci mostrano condizioni migliori rispetto altre carceri italiane non solo per il sovraffollamento ma anche per la manutenzione delle strutture carcerarie spesso fatiscenti e con scarse misure igieniche.
Il Carcere di Monza accoglie 716 detenuti di cui 300 in attesa di giudizio, a fronte di una capienza di 483 detenuti con una presenza di 350 agenti di polizia. La recidiva è circa del 70%.

Numerosi detenuti dovrebbero avere la carcerazione domiciliare, ma non avendo una dimora o una residenza permangono nella Casa Circondariale. All’interno della Casa Circondariale operano molte realtà associative di volontariato che svolgono attività con i detenuti proponendo attività di musica, di teatro, culturali con laboratori artistici ed artigianali. Sono circa 199 le persone adulte che partecipano alle attività proposte dalle associazioni.

La tua nomina è stata proposta anche dall’associazione Nessuno tocchi Caino. Che progetti porti avanti con questa associazione?
Ho conosciuto Nessuno tocchi Caino molti anni fa e mi sono impegnato con loro nella campagna per la moratoria internazionale contro la pena di morte andando in alcuni Paesi del mondo, come lo Swaziland o la Liberia, a discutere e convincere i governi a votare a favore della moratoria alla Nazioni Unite.
Da qualche anno ci occupiamo di carcere, morte per pena e pena fino alla morte. Visitiamo molte carceri per verificare le condizioni dei detenuti, teniamo con loro lavoratori mensili di confronto e cittadinanza, combattiamo contro i pregiudizi e le normative che non permettono il reinserimento sociale e non considerano possibile il cambiamento delle persone. Insomma alla fine proviamo a dare corpo allo spirito della nostra Costituzione.

Ho letto che hai iniziato ad interessarti delle condizioni carcerarie già 20 anni fa con Roberto Vecchioni?
Si, allora lavoravo con lui sia per l’organizzazione dei concerti che in tante sue attività culturali nelle scuole, nelle università e in campo editoriale. Organizzammo anche un concerto nel carcere di San Vittore. Non fui sorpreso perché l’idea che avevo del carcere era già molto negativa ma di certo fu un impatto molto forte.
Cosa ti ha spinto ad occuparti di questo tema?
Credo le mie letture, la filosofia, i cantautori che amo molto. Tutto questo insieme mi ha sempre fatto pensare che le persone cambiano, che le situazioni e il contesto spesso determinano quel che ti accade nella vita. E che lo Stato non deve giudicare o punire ma piuttosto creare le condizioni per evitare che certi fatti accadano e per favorire il cambiamento e il reinserimento sociale. Il mio è un pensiero che riguarda l’uomo. E se vogliamo anche la natura del potere e dello Stato. Penso ovviamente a Focault, una lettura già degli anni del liceo.
Sei stato vicesindaco a Vimercate con delega alla cultura, senatore e deputato della repubblica. Ci sono stati dei momenti che ricordi in modo particolare durante le tue visite nel Carcere di Monza?
Se penso a Monza, penso in particolare a un concerto che portammo in carcere con l’allora Assessore provinciale Gigi Ponti. Da parlamentare ci sono state tante visite in Italia e anche all’estero: nelle carceri ucraine, kazache, catalane. Situazioni molto diverse anche se la privazione della libertà è sempre una forma di violenza.

Ci racconti le iniziative politiche da parlamentare che hai promosso per un sistema penitenziario attento ai principi costituzionali?
Intanto depenalizzare i reati. Che non significa come molti pensano cancellarli. Significa evitare che si finisca in carcere quando non è strettamente necessario. E poi molte azioni sulle alternative al carcere e sulla verifica di efficacia e di efficienza del sistema. Qualche segnalazione di problemi soprattutto gravi. Qualche momento di conflitto con chi purtroppo pensa che alla carcerazione debba corrispondere la perdita dei diritti se non addirittura dell’umanità.
Durante la tua esperienza di Vicesindaco quali iniziative hai intrapreso per il Carcere di Via San Quirico?
Ricordo in particolare l’acquisto e la donazione di volumi per la biblioteca del carcere. Soprattutto dizionari e codici di natura giuridica.
Come garante dei detenuti hai già fatto dei colloqui con i detenuti di Monza? Che impressione hai avuto rispetto il loro stato di salute?
Monza mi sembra un luogo dove molti sono impegnati a dare il meglio nelle condizioni date. Ma la struttura è quella che è. Ed è invecchiata male. Ci sono il doppio delle persone che dovrebbe e potrebbe ospitare. Ci sono limiti oggettivi nella tempestività delle cure e le difficoltà di una struttura vecchia come la presenza di cimici. C’è un enorme lavoro particolarmente difficile per il contesto e la mancanza cronica di risorse.
Quali priorità porterai all’ attenzione delle istituzioni, Direttrice, Comune di Monza, Provincia?
Il mio approccio non è tanto quello di segnalare problemi che credo siano anche a loro molto ben noti. Piuttosto vorrei provare con le relazioni che ho costruito nel tempo a dare una mano per risolverli. Credo soprattutto che ci sia la necessità di offrire molte più opportunità di lavoro dentro e fuori il carcere. E poi di seguire con attenzione il momento dell’uscita e del reinserimento nella società e di creare le condizioni per applicare tutte le misure alternative possibili.
Secondo te, per la tua esperienza politica, da dove bisognerebbe partire per risolvere il problema del sovraffollamento?
Evitando che tante, tantissime persone che non dovrebbero essere in carcere ci finiscano. Io contesto l’efficacia del carcere e sono convinto che ci siano molto modi migliori per occuparsi di queste persone. Molti sono in carcere in attesa di giudizio e non dovrebbero starci. Altre sono persone che hanno bisogno di cura di tipo psicologico o psichiatrico o sono dentro per problemi legati alla dipendenza da sostanze e andrebbero quindi aiutati, altri a causa delle norme che regolano male i flussi da altri Paesi. Insomma il sovraffollamento dipende dal fatto che abbiamo deciso come società di non occuparci di queste persone ma di farle scomparire in questi luoghi.
Perché è così difficile applicare le misure alternative alla detenzione?
Per motivi culturali, sociali e pratici. Perché si investe troppo poco. E perché le misure alternative non sono sentite come una priorità. Perché ci si crede poco e perché c’è un discredito sociale e anzi una richiesta indotta di carcere e di pene. Si tratta in fondo di un desiderio di vendetta e di una forma di semplificazione basata sulla logica colpa/punizione. Una logica che è, però, totalmente sbagliata e inefficace. Chi ha scritto la nostra Costituzione (e spesso in carcere c’era stato) aveva invece immaginato un sistema molto diverso. Ed è a questo che dobbiamo lavorare.