Intervista al figlio di Giorgio Perlasca

perlasca-medagliadi Daniela Zanuso

Nell’anniversario della nascita di Giorgio Perlasca, che ricorre il 31 gennaio, e in occasione della Giornata della Memoria, appena trascorsa, abbiamo intervistato il figlio. Giorgio Perlasca è stato riconosciuto Giusto per le Nazioni per aver salvato la vita di migliaia di ebrei ungheresi spacciandosi per il console della Spagna. La sua storia è stata raccontata anche in un film interpretato da Luca Zingaretti. Ecco cosa ci ha detto il figlio Franco.

Perché Giorgio Perlasca ha fatto tutto quello che ha fatto, cosa lo ha spinto, ha mai raccontato il perché?

Mio padre rispondeva a questo domanda così “Ma lei cosa avrebbe fatto, vedendo quello che stava succedendo…”. 

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Giorgio Perlasca con la medaglia d’oro del Museo dell’Olocausto

Il primo libro uscito su questa vicenda, di Enrico Deaglio, nel lontano 1990  ha un titolo significativo “la banalità del bene”,  in contrapposizione con il libro di Hannah Arendt “la banalità del male”. Nel testo la Arendt racconta la storia di Eichmann e del processo che si svolse a Gerusalemme. La difesa di Eichmann fu quella d’aver obbedito a degli ordini, quindi non si riteneva colpevole di nulla. La banalità del male…

Perlasca invece, e tanti altri per fortuna, non si voltò dall’altra parte per non vedere le sofferenze altrui, ma anzi tentò di fare qualcosa, fuori da ogni regola e convenzione, inventandosi il ruolo di console spagnolo lui che non era né spagnolo né diplomatico. La banalità del bene…

Sono i “Giusti”, quelli del famoso racconto della tradizione ebraica; Esistono al mondo sempre 36 Giusti, nessuno sa chi sono e nemmeno loro sanno d’esserlo ma, quando il male sembra prevalere escono allo scoperto e si prendono i destini del mondo sulle loro spalle e questo è uno dei motivi per cui Dio non distrugge il mondo“.

Ci racconta come è diventata pubblica la vicenda di suo padre?

Per oltre 45 anni non raccontò nulla, nemmeno in famiglia. La storia divenne pubblica, e la scoprii anch’io quando, dopo lunghe ricerche, un gruppo di donne ebree ungheresi riuscì a ritrovarlo in Italia, a Padova dove abitava. Venne a riprendere i contatti la signora Lang con il marito. Raccontarono la loro storia umana e compresi che mio padre li aveva salvati; poi andarono avanti con il loro racconto e cominciai ad intravedere oltre a loro, altre decine, centinaia forse migliaia di persone. Poi un piccolo grande fatto mi fece capire la grandezza della storia: la signora, assieme ad altri piccoli regali, portò tre pacchetti che aprì con grande attenzione ed emozione. Un cucchiaino, una tazzina e un piccolo medaglione. Gli unici oggetti, aggiunse, che la famiglia aveva salvato dal disastro della seconda guerra mondiale e voleva donarli a mio padre. Che tentò di rifiutare dicendo: “Signora, questi oggetti deve darli ai figli e poi i figli li daranno ai nipoti a ricordo della famiglia”.  La signora uscì con una frase che ancor oggi mi emoziona “Signor Perlasca, li deve tenere lei, perché senza di lei non avremmo avuto né figli né nipoti”.  Quei tre piccoli oggetti, è inutile dirlo, li conserviamo ancor oggi con un amore particolare per la sofferenza e il dolore che vi è racchiusa.

1990, Giorgio Perlasca nella sua abitazione
1990, Giorgio Perlasca nella sua abitazione

Ci sono ancora contatti con le persone o le famiglie da lui salvate?

Certamente, anche se il tempo  è un nemico terribile, sono passati ormai 70 anni. Oltre che in Ungheria, abbiamo conosciuto dei sopravvissuti in Canada, in Spagna e anche in Italia. Giorgio Pressburger, ora abita a Trieste, noto scrittore, regista teatrale, è uno dei salvati, era bambino in una delle case protette dalla Spagna. Incontrarli è una emozione enorme, difficile da capire, spiegare e trasmettere. Da loro ho appreso direttamente sia ricordi di mio padre, sia anche le loro terribili vicende personali in quei mesi dell’inverno 44-45 a Budapest. Racconti che fanno riflettere a dove e perché la crudeltà umana può arrivare.

31 gennaio 2014

 

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