Iran, a Narges Mohammadi il Nobel per la Pace

di Francesca Radaelli

Per “la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per promuovere i diritti umani e la libertà per tutti” l’attivista iraniana Narges Mohammadi ha ricevuto lo scorso 6 ottobre il Premio Nobel per la Pace.

Attualmente in carcere, Mohammadi, 51 anni, ha dedicato la propria vita alla lotta per i diritti delle donne e per i diritti umani in Iran. Con lo scoppio delle proteste cominciate dopo la morte di Mahsa Amini, la ragazza arrestata perché non indossava correttamente l’hijab, non ha mancato di far sentire la propria voce, scrivendo messaggi di solidarietà ai manifestanti dal carcere di Evin a Theran, dove si trovava rinchiusa per volontà del governo iraniano di Ebrahim Raisi. È diventata così una sorta di leader morale del movimento che ha portato donne e giovani iraniani a scendere in piazza per protestare contro il regime, al grido di “Donna, Vita, Libertà”.

Una vita per i diritti

Nata nel 1972 a Zanjan, a circa 300 chilometri da Teheran, Narges Mohammadi si è laureata in Fisica e fin dagli anni dell’università si è impegnata nei movimenti clandestini per i diritti delle donne. Negli anni 90 ha sostenuto la campagna elettorale del riformista Mohammad Khatami, eletto presidente nel 1997 e nel 2001. Nel 2003 è entrata a far parte della ong Defenders of Human Rights Center , fondata da Shirin Ebadi, a sua volta vincitrice del Nobel per la Pace. Presto ne è diventata vicepresidente.

Una delle sue grandi battaglie è stata quella contro l’hijab obbligatorio per le donne, tra i cardini principali su cui si fonda la Repubblica islamica, ma Mohammadi è stata sempre in prima linea per la difesa dei diritti dei carcerati e dei prigionieri politici, nonché per l’abolizione della pena di morte. È diventata popolarissima tra i giovani per i video in cui, a capo scoperto, senza indossare il velo obbligatorio per le donne in Iran, rivendica le proprie posizioni in aperta opposizione al governo. Per le sue attività, ricorda il comitato del Nobel annunciando l’assegnazione del premio, ha subito 13 arresti, cinque condanne e risulta condannata complessivamente a 31 anni di prigione. Ha dovuto subire anche pene corporali, tra cui 154 frustate.

L’attivismo dal carcere

Gli ultimi 15 anni Mohammadi li ha trascorsi quasi completamente in carcere, ma anche da qui è riuscita a organizzare numerose campagne contro l’uso della tortura e delle violazioni sessuali contro le prigioniere donne.

Quando il carcere di Ervin ha iniziato a riempirsi di persone arrestate per aver partecipato alle manifestazioni dell’ultimo anno, Mohammadi, dal carcere, ha inviato una serie di lettere a testate giornalistiche internazionali denunciando l’uso sistematico di stupro e violenze sessuali come forma di tortura. Nel dicembre 2022, per esempio, denuncia alla BBC il fatto che un’attivista sia stata stata legata mani e piedi a un gancio sul tettino del veicolo che l’ha portata in carcere e sia poi stata violentata dagli agenti di sicurezza.

In un Paese in cui le proteste continuano a essere represse in modo violento, in cui nell’ultimo anno sono state uccise più di 500 persone e circa 20 mila arrestate, il Nobel per la Pace alla donna simbolo di tante altre donne che si ribellano a un regime autoritario e violento lancia un messaggio chiaro di sostegno al popolo iraniano.

Dal carcere in cui si trova rinchiusa e in cui ha ricevuto la notizia del Premio, Mohammadi è riuscita a far uscire questo messaggio: “Non smetterò mai di lottare per rendere concreto il concetto di democrazia, di libertà e di uguaglianza. Il premio mi renderà ancora più determinata, fiduciosa ed entusiasta in questo percorso, e mi aiuterà a sentirmi in pace. Al fianco delle madri dell’Iran, continuerò a lottare contro la discriminazione di genere sistematica fino alla liberazione delle donne. Spero anche che questo riconoscimento renda gli iraniani che protestano ancora più forti e ancora più organizzati”.

 

Nella foto: il volto di Nargas Mohammadi nell’illustrazione di Niklas Elmehed

 

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