di Daniela Annaro
In un piccolo paese sulla Manica, a Grucy, vicino a Greville, il 4 ottobre del 1814 nasce uno dei pochi pittori interpreti del mondo contadino del XIX secolo. Jean-Francois Millet viene da quel mondo, i suoi genitori zappano la terra e lui stesso, giovanissimo, fa altrettanto.
All’inizio della carriera, li dipinge in un’atmosfera arcadica. Soggetti mitologici, frutto dell’educazione ricevuta dai primi maestri ( non particolarmente noti) e del gusto di metà ottocento a Parigi, luogo dove si trasferisce e studia. Sono opere pochissimo conosciute come, per esempio,
“L’offerta a Pan“, conservata al Museo di Montpellier. Siamo agli inizi degli Anni Quaranta dell’Ottocento. Di lì a poco, Carlo Marx , scriverà il “Manifesto del Partito comunista” e in Francia come, in altri paesi europei, soffieranno i venti della rivoluzione. E’ lo stesso anno in cui Millet espone “Il Vagliatore“, un contadino al lavoro nei campi.
Un soggetto che accetta la sua condizione, legato alla natura, alla tradizione e non ostile alla società come poteva essere l’operaio, sradicato dal suo contesto e sfruttato sul lavoro. Le opere di Millet piacciono, non disturbano, anzi enfatizzano i sentimenti più diffusi, ottengono grande favore di pubblico.
Nel 1858 dipinge “L’Angelus“, un successo enorme, tanto da finire su cartoline e almanacchi e destare l’interesse di altri artisti come l’olandese Vincent Van Gogh e lo spagnolo Salvador Dalì.
Così, nel 1865, commenta lui stesso l’opera che venne acquistata da ricchi americani e poi, per una cifra altissima, 700.000 franchi d’oro, comprata dal Louvre, ora è al Museo d’Orsay.
Negli ultimi anni di vita, Millet trasforma l’interesse per i “lavoratori della terra” verso la terra stessa. Dipinge paesaggi, si trasferisce a Barbizon, poco lontano dalla foresta di Fontainebleau, dove altri artisti si erano radunati. E, lì, muore il 20 gennaio 1875.