di Giovanni Di Pasquale
Il 27 dicembre 1571, a pochi chilometri da Stoccarda nasce Johannes Kepler, Keplero. Avviato dal padre alla carriera ecclesiastica, dovrebbe occuparsi di anime da redimere, ma nella città tedesca di Tubinga, dove è arrivato come studente in teologia, avviene l’incontro che gli cambierà l’esistenza. E’ qui infatti che Keplero incontra ed ha come maestro Michael Maestlin, astronomo e matematico che lo introduce ai problemi classici della fisica e dell’astronomia del tempo: dunque le opere di Aristotele e Claudio Tolomeo e, soprattutto, il grande libro di Copernico, il De revolutionum orbium coelestium (1543), in cui l’astronomo polacco aveva per la prima volta ipotizzato un universo eliocentrico. I non molti lettori dell’opera copernicana si divisero ben presto in favorevoli e contrari.
Nel 1594 Keplero ottiene la cattedra di matematica nella città di Graz, in Austria. Convinto della validità del sistema copernicano, nel 1596 pubblica il suo primo libro, il Mysterium Cosmographicum. Vi si racconta della bellissima armonia che regna nell’Universo e che governa il moto dei pianeti. Qui Keplero pone questioni nuove: non bisogna solo descrivere il moto dei corpi celesti, ma occorre capire quale ne sia la causa, calcolare esattamente le distanze tra di essi e verificarne la velocità.
La risposta a queste domande, secondo Keplero, è da vedersi nell’armonia. Concetto fondamentale della civiltà antica e rinascimentale, dove l’armonia corrisponde ai procedimenti geometrici per conseguire il bello nell’arte e nell’architettura, in questo caso assume invece un valore prettamente legato alla musica. Accettando l’ipotesi di Copernico e sulla scorta della lettura del Timeo di Platone,
Keplero afferma che i pianeti si trovano all’interno di sfere concentriche: le reciproche posizioni tra di essi sono determinate dall’essere iscritti e circoscritti ai cinque solidi platonici regolari: il tetraedro, il cubo, l’ottaedro, il dodecaedro e l’icosaedro. Insomma, le distanze diverse tra le orbite planetarie possono essere determinate dai cinque poliedri regolari.
E’ con quest’opera che Keplero attira l’attenzione dell’altro grande astronomo del Cinquecento, il danese Tycho Brahe (1546 – 1601), del quale diviene assistente a Praga nel gennaio del 1600. Inarrivabile osservatore della volta celeste, Tycho aveva verificato con precisione ineguagliata le posizioni di stelle e pianeti nel cielo. Forte delle sue osservazioni, Tycho coinvolge Keplero nel caso particolare dello studio dell’orbita di Marte.
E’ questa l’occasione per la seconda opera di Keplero, l’Astronomia Nova, pubblicata nel 1609. Vi si sostiene che i pianeti ruotano attorno al Sole a causa di una sorta di magnetismo che funge da forza di attrazione reciproca tra i corpi celesti. Allo stesso 1609 risalgono le prime due leggi di Keplero, che ancora oggi studiamo a scuola: vi si dice che la traiettoria che ogni pianeta compie attorno al Sole non è circolare ma ellittica e che ciò avviene secondo una velocità che non è uniforme, come sempre si era creduto, ma variabile. Dopo secoli viene dunque abbandonata l’idea che le orbite dei pianeti siano circolari, caratterizzate dalla velocità uniforme che ne governa il cammino attorno alla Terra.
Entusiasta dell’invenzione del cannocchiale da parte di Galileo (1609), Keplero si dedica anche allo studio dell’ottica e al perfezionamento del telescopio. E’ l’atto di nascita della moderna astronomia di osservazione, che però ha ancora molte battaglie da portare avanti. Nel giro di pochi anni, sia Galileo che Keplero andranno incontro ai problemi suscitati dalla reazione della chiesa per bloccarne gli insegnamenti, giudicati pericolosi perché in contrasto con le sacre scritture.
Mentre Galileo è denunciato a Firenze nel 1614 per la sua predilezione per la matematica, pubblicamente definita nella chiesa della Santissima Annunziata “arte diabolica”, Keplero dovrà spendere molto tempo nel cercare di difendere l’anziana madre dall’accusa di stregoneria. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il Cinquecento è anche il secolo della caccia alle streghe. Nel 1619 Keplero pubblica l’Harmonies mundi, dove risponde all’ultima delle domande che si era posto: il quadrato del periodo di rivoluzione di ciascun pianeta attorno al Sole è proporzionale al cubo della distanza.
E’ dunque definita la terza legge di Keplero, che ancora studiamo a scuola e che ci spiega come i pianeti si muovano attorno al Sole. E’ qui, inoltre, che mette in relazione le leggi armoniche dei suoni con i movimenti dei pianeti: la musica celeste che ne scaturisce è opera di un Dio che non è solo geometra, ma anche musico. Nel 1627 completa le Tavole Rudolfine, un catalogo astronomico e diverse tavole planetarie così nominate in onore dell’Imperatore Rodolfo II di Praga: sono le nuove tavole fondamentali dei pianeti, dopo quelle Alfonsine redatte nel Medioevo, questa volta basate sul moto ellittico ed eliocentrico.
Gli astronomi avrebbero così avuto a disposizione un mezzo formidabile per calcolare la posizione dei pianeti del nostro sistema solare, a conferma della validità delle tre leggi di Keplero. Iniziata sotto la guida del maestro Tycho Brahe, morto nel 1601, l’opera è a lui dedicata in segno di gratitudine. L’astronomo tedesco muore il 5 Novembre del 1630. Viene sepolto a Ratisbona, della sua tomba resta solo l’iscrizione funebre, ancora leggibile: “Mensus eram coelos, nunc terrae metior umbras. Mens coelestis erat, corporis umbra iacet”.
“Ho misurato i cieli, adesso misuro le ombre della terra. L’intelligenza era celeste, qui non riposa che l’ombra del corpo”.