Koinè a Riace, dove la Resistenza è ‘restare umani’

di Francesca Radaelli

Le impronte di due dita, marchio di riconoscimento e allo stesso tempo simbolo di unicità, una bianca e una nera, impresse sul pavimento delle strade.

L’acqua, imbustata in sacchetti di plastica e appesa sopra i punti di passaggio della strada tra le case.

Enzo Biffi – “Impronta”

Gli ometti di pietra schierati lungo le strade, a tracciare un sentiero, indicare una direzione.

Le rondini, che fanno capolino dai buchi dei muri, appena approdate o forse da lì pronte a partire.

E poi la gabbia, con dentro di sé una figura umana accartocciata. La bellezza di un volto scolpito, che si affaccia da un’edicola sopra la parete di una casa. Le sagome di strani continenti, o forse regioni, che oscillano nell’aria pendendo dai rami di un albero. I pali sottili, conficcati nella terra come appena approdati, o forse sul punto di partire. Il racconto scritto in versi di una città diventata museo vivo, che trova il suo posto su un muro della città stessa. Le immagini che, appese ai muri, parlano di sguardi che si rompono. E laltre immagini fatte di residui, depositi di tempo.

Mariangelo Cazzaniga – “H2O”

Il paese, in tutti i suoi luoghi, si popola di segni e simboli, e della sfida di interpretarli. Alcuni parlano subito, altri vanno ascoltati e osservati più a lungo. Tutti sono reali, concreti nella loro materialità. Per un giorno diventano parte del luogo in cui prendono dimora.

Ossia di un paese, che si trasfigura nell’arte. O che l’arte prova a interpretare, nella sua essenza e identità.

Questa volta il paese in questione si trova in provincia di Reggio Calabria e si chiama Riace.

Valeria Codara – “Gli ometti di Riace”

Il suo nome deriva presumibilmente dal greco bizantino Ryaki, che significa ‘piccolo ruscello’. Ma nel nome di questo paese risuona anche qualcos’altro, un prefisso evocativo: quel ‘ri-‘ che porta con sé l’idea di ri-nascita, di ri-generazione, anche di ri-voluzione se vogliamo. Insomma di un ‘nuovo inizio’.

Un prefisso che non può che evocare la storia recente di questo piccolo paese affacciato sul mar Ionio. Il paese dei Bronzi trovati al largo di queste coste poco meno di cinquant’anni anni fa (era il 1972), testimoni misteriosi di un passato sommerso. Sulle stesse coste, decine di anni dopo, approdava una nave partita dall’Oriente. Le 66 persone che la nave portava a bordo, tutte di etnia curda, trovarono accoglienza, tutte quante, nella città che in quel tempo si vedeva abbandonare dai suoi stessi abitanti, in fuga verso il nord.

Antonello Sala – “La bellezza ci rende liberi”

                                                                                                                       

Iniziava così, grazie ai curdi venuti dall’oriente, il ri-popolamento di Riace, che da città in dissolvimento, da piccolo ruscello ormai destinato a prosciugarsi, si trasforma in luogo di accoglienza, un luogo che ri-nasce, in ruscello che  riprende a scorrere proprio grazie a coloro che da altre parti nessuno vuole. E che lì, a Riace, negli anni a seguire diventano protagonisti di un nuovo modello di accoglienza, di ri-popolamento e di ri-nascita economica: su 1700 abitanti del paese oggi circa 600 sono persone inserite in progetti di accoglienza, provenienti da oltre 20 nazioni differenti. Il loro status a Riace non è tanto quello burocratico di ‘rifugiato’ o di ‘richiedente asilo’, quanto quello naturale di essere umano.  E proprio qui, forse, sta il problema.

 

Giacomo Nicola Manenti – “Vivere per vivere”

Perché gran parte di tutto ciò è merito dell’iniziativa di un sindaco, Domenico Lucano, che diventa famosissimo al di fuori dei confini nazionali, inserito tra le personalità più influenti del mondo, insignito di premi internazionali, oggetto di articoli di giornale, film e documentari. Ma che nel 2017 è fatto oggetto anche di un’indagine della procura di Locri proprio in merito alla gestione dell’accoglienza, vedendosi bloccare i fondi necessari per portare avanti il ‘modello Riace’, come ormai viene definito.

 

Pietro Macchini – “Sbarco”

A Riace, che oggi è un ruscello a rischio di prosciugamento, è approdato quest’estate il Gruppo Koinè, che dalla Brianza sta portando avanti quest’anno un progetto artistico legato alla ricorrenza del 25 aprile, la Festa della Liberazione dal nazi-fascismo, di cui nel 2018 ricorre il cinquantesimo anniversario. E a cui il giorno 25 di ogni mese è dedicato un intervento artistico collettivo ad opera dei membri del gruppo, in un comune italiano.

Dopo Mezzago, Bellusco, Carnate e Bernareggio, dunque, il 25 agosto è stata la volta di Riace.

Marco Gaviraghi Galloni – “Continente teorico 2018”

Ri-ace è il paese che ri-comincia, si ri-popola e ri-vive accogliendo chi viene da lontano, e che accogliendo riacquista significato. È un luogo la cui Liberazione avviene attraverso l’apertura e la mescolanza.

Entrando in Riace, nelle strade, sotto i portoni, lungo i muri delle case, l’arte non può che esprimere – con le sue forme, i suoi simboli, i suoi materiali – il significato e l’identità che Riace è stata capace di ri-conquistarsi.

Dario Cogliati – “Residui”

Impronte, acqua, ometti di pietra, rondini, gabbie, volti bellissimi, sagome geografiche, pali conficcati per terra, scritture, sguardi, residui: a Riace diventano segni di qualcosa che vale solo qui, a Riace, e allo stesso tempo da Riace indicano una via, sprigionano un significato unico ed eccezionale. Un significato che ora rischia di dissolversi, e chiede di essere difeso. Anche con l’arte, e dall’arte.

Perché, oggi più che mai Riace è un esempio di Resistenza che, come scrivono gli artisti di Koinè, “apre l’immaginazione e facendosi modello offre la possibilità, la scelta e  l’opportunità a noi, che abitiamo questo mondo, di RESTARE UMANI”.    

Valeria Codara – “Come le rondini”
MIchele Salmi – “O_S 29”
Andrea Cereda – “Una piccola cosa”

Una piccola cosa

No, non cercateli al museo
Non li troverete lì
i bronzi
Non c’è più
biglietto,
è tutto gratis
Il nuovo museo
E’ sempre aperto
Non chiude mai
E non chiude per nessuno
Di dove sei?
Di Riace
Eccolo! Il nuovo museo: la città!
Di dove sei?
Di Riace
Una risposta corta, ma con un una coda lunga
Una lunga coda di storie
I nuovi bronzi hanno storie lunghe, forse più lunghe dei bronzi vecchi
I nuovi bronzi vengono da est, o forse da sud, o forse da ovest…
I nuovi bronzi hanno mani che sanno disegnare, piedi che sanno danzare, bocche che sanno cantare…
Ma soprattutto i nuovi bronzi sono vivi, ecco perché hanno ancora più cose da raccontare dei bronzi vecchi
Grazie per essere venuti fin qui

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