La ballerina curva

di Eleonora Duranti

Inizialmente criticato e additato con sprezzo dai fervidi sostenitori dell’animosità borghese, “Les glaneuses” (“Le spigolatrici”) ricevette i dovuti onori soltanto con l’avvento della Prima Guerra Mondiale, divenendo addirittura simbolo del fiero patriottismo francese. Pur avendo immortalato le “tre Grazie dei poveri”, quindi, Jean-François Millet ottenne comunque soddisfazione, quasi avesse dipinto una nuova, moderna, “Primavera”.

Il sole si sta alzando.

Presto, il campo si trasformerà in un rovente forno dorato.

Ho la schiena a pezzi e le dita intorpidite.

Non è vero che, con il tempo, ci si abitua.

Non ci si abitua mai, alla fatica.

A maggior ragione, se il sole è tuo nemico e tu non sei più una ragazzetta tutta gambe ed euforia.

Ricordo quando, da bambina, correvo a perdifiato tra le spighe di granturco, le guance arrossate, le trecce disfatte e il petto in fiamme. Piroettavo sul sentiero come una ballerina dell’Opéra di Parigi e guardavo il cielo azzurro immaginando di essere altrove.

Anche adesso immagino di essere altrove.

La differenza è che ho la faccia rivolta a terra e che, più che somigliare a una ballerina dell’Opéra, sembro una vacca appesantita e annoiata dalla monotonia della vita.

Non ballo più.

Piuttosto arranco.

E incespico negli zoccoli.

Alphonsine e Félicie sono mie sosia; siamo talmente uguali che il padrone, altero sul suo cavallo come un napoleone, non riconoscerebbe l’una dall’altra.

E come potrebbe?!

Ai suoi occhi, siamo delle miserabili dalla cuffietta e dal grembiule rattoppati.

Nient’altro.

Che io abbia la camiciola rosa e Félicie la gonna azzurra, poco importa. Restiamo sempre povere contadine dalla schiena rotta e dai sogni infranti.

Già ho detto che mi sarebbe piaciuto danzare.

Tuttavia, non sono un animo pretenzioso; mi sarei accontentata di qualsiasi lavoro onesto, purché mi permettesse di avere la coscienza pulita e un tetto sopra la testa.

Non che ora abbia la reputazione sporca o non possieda un posto a cui fare ritorno la sera.

Ho un marito che mi ama e tre figlie che adoro… E la nostra casa è piccola, sì, ma accogliente.

Alle mie bambine, però, augurerei un destino diverso.

Augurerei loro di venire, un giorno, raffigurate in un quadro come le tre Grazie di Botticelli.

E non come le tre spigolatrici di Millet.

Jean-François Millet, Le spigolatrici, 1857. Olio su tela, 83,5×111 cm. Parigi, Musée d’Orsay.

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