In passato molti filosofi e molti religiosi si sono esercitati a immaginare una società che rispecchiasse una visuale di perfezione ed armonia. Una società in cui tutti potessero godere di pari diritti e di eguali doveri perché potessero ricevere le stesse istruzioni e le stesse virtù.
Un’anteprima del concetto del comunismo perfetto che in seguito immaginarono di poter realizzare altri uomini per idealizzare una società fondata sull’uguaglianza e contraria alla proprietà privata, dove tutto fosse guidato e gestito dall’alto. Ma, come nella pratica si è imposta, rendere gli uomini tutti uguali e ugualmente imbrigliati da leggi o dottrine di alta ispirazione, va contro la stessa natura umana che ispirò Platone, Tommaso Moro, Campanella e tutti coloro che vollero perseguire questa linea di pensiero.
Nella “Città del Sole“, Campanella ipotizza un’evoluzione dei concetti di Platone espressi nel suo tomo “la Repubblica” prendendo spunto dagli insegnamenti religiosi ricevuti nei suoi viaggi nei vari Paesi europei allora ritenuti all’avanguardia nell’enunciare i concetti più illuminati dal pensiero divino e sociale.
Egli descrisse una società dove ognuno portasse il suo contributo e dove ricevesse le giuste ricompense. Dove uomini e donne svolgessero il loro lavoro per una parte della giornata, a seconda delle loro capacità, e dove si vestissero nello stesso modo, dove partecipassero alle stesse dinamiche sociali e seguissero le esercitazioni per la difesa della loro città.
Dove la proprietà privata era bandita perché considerata il principio del male e dove i bambini venivano tolti alle loro famiglie per essere cresciuti come tutti gli altri in comunità. Tommaso Moro coniò il termine “utopia” per rendere meglio concepibili questi alti concetti, concetti fortemente idealistici e che come tali non esistevano realmente in “nessun luogo” sulla Terra.
Luigi Picheca