di Carlo Rolle
Buonasera, amici lettori. “La coscienza delle parole” è una raccolta di saggi di Elias Canetti (1905 – 1994). Uscì per la prima volta in Germania nel 1976 e per Adelphi nel 1984. Tre anni prima, nel 1981, Canetti aveva vinto il premio Nobel per la letteratura.
Adelphi pubblicò almeno una quindicina di opere di Canetti, premio Nobel per la letteratura nel 1981. Tra esse figurano il famoso romanzo “Auto da fé”, l’autobiografia in tre volumi, nella quale si riflette gran parte della storia europea del XX secolo, e il lungo saggio “Massa e potere”, al quale Canetti lavorò per decenni.
Un libro “adelphiano”
Con tante opere importanti di Canetti uscite nella collana “Biblioteca”, può forse sembrare strano dedicare una recensione ad una semplice raccolta di saggi. Tuttavia questo libro, oltre ad essermi molto piaciuto, è anche molto – per così dire – “adelphiano”. Chi conosce il catalogo delle edizioni Adelphi vi si sente a casa; ora spiegherò perché.
Il libro contiene 15 saggi di lunghezza diversa. Con l’eccezione del primo, essi furono tutti scritti tra il 1962 e il 1974. Tutti i saggi parlano di libri o dei loro autori, cosa che Canetti sapeva fare benissimo. Egli era un vorace lettore, che attingeva a tutte le culture e a tutte le letterature e che spesso affrontava testi pochissimo conosciuti; alcuni li scoprì lui addirittura stesso. Canetti aveva inoltre il talento di suscitare interesse per i libri: fu grazie a questa dote che molte opere di cui aveva parlato furono ristampate e tradotte, e produssero ulteriori opere ad esse dedicate.
Quanto ho appena descritto accadde anche all’interno della casa editrice Adelphi. Nel corso della sua amicizia con Roberto Calasso, l’editore per decenni alla guida di Adelphi, Canetti gli parlò di molti libri di cui questi, pure coltissimo, ignorava completamente l’esistenza. Come raccontò lui stesso alcune interviste e conferenze che potete trovare su YouTube, Calasso pubblicò diversi libri che Canetti gli aveva consigliato e su di essi scrisse saggi e libri.
I primi due saggi
Il primo saggio de “La coscienza delle parole” è un discorso tenuto da Canetti nel 1936 per il cinquantesimo compleanno di Hermann Broch. Nel 1936 Broch non aveva ancora scritto alcuni dei suoi capolavori, quindi Canetti non poteva darne una visione completa; ma il saggio è comunque interessante. Egli vi espose idee che riguardano il ruolo dello scrittore in generale; su questo tema tornerà l’ultimo saggio della raccolta.
Il secondo saggio, “Potere e sopravvivenza”, fu pubblicato nel ’62 e ritorna su alcuni temi del lungo libro che Canetti aveva pubblicato due anni prima, “Massa e potere”. È un saggio molto interessante, sugli argomenti che avevano ossessionato Canetti per quarant’anni.
Due saggi dedicati a Karl Kraus
Ad esso segue il primo dei due lunghi saggi dedicati al polemista austriaco Karl Kraus, editore e scrittore della rivista “Die Fackel” (“La fiaccola”), periodico dal contenuto incendiario come il suo titolo. Questi due saggi su Kraus sono veramente belli. Kraus era un uomo strano, animato da una vis polemica pari soltanto al suo coraggio. Era uno che accettava senza esitazione di combattere da solo contro tutti. Dopodiché solitamente trionfava grazie alla sua prosa raffinata, alla sua lucidità, alla sua sferzante ironia e alla veemenza dei suoi attacchi, che non risparmiavano la società del suo tempo e i suoi più potenti esponenti.
La personalità, l’eloquio e la scrittura di Karl Kraus soggiogarono il giovane Canetti, che l’aveva ascoltato per la prima volta a Vienna nel 1924. L’immensa aggressività di Kraus poteva allontanare da lui alcune persone, mentre altre trovarono in essa sostegno, salvo poi sentirsene alla lunga estenuate. Ciò accadde anche a Canetti, che dopo molti anni si staccò dal suo mentore. Per quanto poco simpatico, non bisogna ignorare che Kraus riversò la sua violenza verbale soprattutto contro coloro che perpetrarono o facilitarono una violenza reale, e questa su una scala mai vista: Karl Kraus fu il più strenuo oppositore e demistificatore della Prima Guerra Mondiale. I due saggi di Canetti ci aiutano a conoscerlo.
Del tenere diari in varie forme, le lettere di Kafka e in quale lingua scrivere all’estero
Molto bello è anche il saggio “Dialogo con il terribile partner”, che tratta del tenere diari. Canetti distingue fra le varie forme di diaristica e si serve di illuminanti riferimenti a scrittori che produssero splendidi diari. Segue un saggio sul realismo, breve ed acuto; esso tratta della nostra sempre nuova capacità di elaborare e rappresentare il passato, capacità che ci deriva dalle più cose che sappiamo di esso, dalla crescente precisione che la scienza ha portato nella valutazione di fenomeni naturali e sociali, e infine dalla nostra conoscenza degli sviluppi che quel passato ebbe.
Il saggio più lungo del libro è dedicato alle lettere indirizzate da Kafka alla sua amata Felice Bauer, pubblicate a quasi mezzo secolo dalla morte dello scrittore. Canetti esercita qui la sua grande capacità di immedesimazione.
Un altro breve saggio ci parla della scelta di Canetti di continuare a scrivere nella propria lingua, dopo essersi stabilito a Londra, dove visse per trent’anni, scelta diversa da quella di molti scrittori in esilio, come Brodskij o Nabokov.
Hitler secondo Speer, Confucio, Tolstoj, diari da Hiroshima e Georg Büchner
Molto interessante è il saggio “Hitler secondo Speer”, nato dopo la lettura delle memorie dell’architetto Albert Speer, per certi aspetti la persona più vicina al dittatore nazista. I temi trattati in “Massa e potere” riaffiorano in questo saggio, tra cui il tema della solitudine e dell’allontanamento dalla realtà tipico del dittatore.
Seguono quattro saggi piuttosto brevi, dedicati rispettivamente a Confucio, a Tolstoj, al dottor Hachiya, un medico che si trovava ad Hiroshima durante l’esplosione atomica e che tenne un diario dei giorni che seguirono, e a Georg Büchner, il drammaturgo tedesco morto nel 1837, a soli ventiquattro anni. Questi quattro saggi sono uno più bello dell’altro.
La genesi di “Auto da fé” e la missione dello scrittore secondo Canetti
Un ulteriore saggio racconta la genesi del primo libro di Canetti, “Auto da fé”. È l’immaginaria vicenda di uno studioso circondato dalla propria immensa biblioteca, praticamente isolato dal mondo. Il libro è molto noto, e chi non lo conosce dedurrà comunque dal titolo la fine toccata al protagonista ed ai suoi libri.
Il saggio finale, “La missione dello scrittore”, riprende a quarant’anni di distanza i temi che Canetti aveva affrontato nel saggio del 1936 che apre questo libro. Il saggio finale è il più intenso ed appassionato di tutto il libro, scritto con un impeto ed un coinvolgimento che trascina il lettore. Esso prende le mosse da certe affermazioni di alcuni che negli anni del Secondo Dopoguerra, sostenevano che dopo certe catastrofi, dopo Auschwitz, non si poteva veramente più scrivere. Parte di questi sentimenti erano comprensibili, furono proprio le parole, usate irresponsabilmente, a scatenare le due guerre mondiali: dunque esse sembravano aver perso ogni funzione, ogni verità; ed il silenzio, o il semplice calcolo, parevano prendere il loro posto nella storia.
Ma anche queste sono affermazioni enfatiche ed insincere, sostiene Canetti, tanto è vero che chi le fa scrive come prima. Contro l’incoscienza nell’uso delle parole, Canetti sostiene la funzione essenziale dello scrittore, descrive quale sia e ne spiega le ragioni. Lo scrittore, il poeta è essenziale anche nel nostro tempo, forse è più essenziale che mai: solo la sua capacità di immedesimazione può mitigare la minaccia della guerra, la spietatezza generalizzata e la mancanza di valori che dilagano nel mondo.
Conclusioni
In conclusione, amici lettori, si tratta di saggi apparentemente eterogenei, ma percorsi da un elemento comune e più che mai attuale: una riflessione sul rapporto dello scrittore con l’umanità che gli sta intorno e con il proprio tempo, tempo che si trova sotto la crescente minaccia di una guerra annientatrice. I saggi di Canetti su Broch, su Kraus, su Büchner, su Hitler, sul dottor Hachiya ad Hiroshima, sono tutti pervasi dalla possibilità della catastrofe, ma il saggio finale indica anche un modo di opporsi ad essa.
Molti degli autori in questo libro vennero pubblicati da Adelphi: Karl Kraus, Hermann Broch, Franz Kafka, Georg Büchner, Confucio e l’epopea mesopotamica di Gilgamesh, oltre allo stesso Canetti naturalmente. Per questo “La coscienza delle parole” è un libro, in cui gli estimatori della casa editrice Adelphi si sentiranno a casa.
Per chi fosse eventualmente interessato, ecco i link alle precedenti recensioni:
– 1) “Storie e leggende napoletane”, di Benedetto Croce;
– 2) “Il monaco nero in grigio dentro Varennes”, di Georges Dumézil;
– 3) “I Vangeli Gnostici”, a cura di Luigi Moraldi;
– 4) “La Cripta dei Cappuccini”, di Joseph Roth;
– 5) “Fuga da Bisanzio”, di Iosif Brodskij;
– 6) “Andrea” o “I ricongiunti”, di Hugo von Hofmannsthal;
– 7) “Lo stampo”, di Thomas Edward Lawrence;
– 8) “Un altro tempo”, di Wystan Hugh Auden;
– 9) “Fuga senza fine. Una storia vera”, di Joseph Roth;
– 11) “Mysterium iniquitatis”, di Sergio Quinzio;
– 12) “L’altra parte”, di Alfred Kubin;
– 13) “Massa e potere” di Elias Canetti;
– 14) “Edda” di Snorri Sturluson, a cura di Giorgio Dolfini;