di Francesca Radaelli
Un mantello, che avvolge e protegge: questo è il ‘pallio’. E questo è anche il significato dall’espressione ‘cure palliative’. Una cura che avvolge, ricopre, la persona nella sua interezza, ma anche chi le sta intorno. E’ quanto accade all’interno di un Hospice.
Quasi invisibile nel fluire della società contemporanea, l’Hospice è un luogo che venne ‘inventato’ negli anni Sessanta dalla dottoressa inglese Cicely Saunders, con l’obiettivo di offrire a persone gravemente malate non una guarigione, ma una cura attenta e globale che le accompagni verso il termine della vita.
Un luogo in cui il tempo assume una dimensione inedita e un valore diverso, in cui ogni attimo diventa meritevole di cura e di attenzione. In cui ci si prende cura dell’esperienza della malattia, della terminalità, del distacco. Dando a questa esperienza valore e significato.
Il tema è stato al centro dell’incontro online organizzato in occasione del settimo anniversario dell’Hospice San Pietro di Monza. Era infatti il 24 maggio 2014 quando nella struttura della Cooperativa La Meridiana che ospita persone con SLA ed in stato vegetativo, si apriva anche un reparto con 11 posti letto per accogliere persone in fase terminale. Da allora sono transitate all’Hospice San Pietro 1.102 persone che hanno potuto beneficiare di cure palliative, di assistenza sanitaria, ma soprattutto del calore e dell’umanità del personale dell’Hospice.
E durante il webinar condotto da Fabrizio Annaro sono proprio le testimonianze delle persone che vi lavorano quotidianamente e delle persone che ne hanno fatto esperienza a delineare i ‘contorni’ di questo luogo così particolare.
Il personale sanitario
“Qui ed ora: è l’espressione che meglio descrive la filosofia che il team dell’Hospice san Pietro intende trasmettere ai pazienti, ai familiari”, spiega Andrea Magnoni, direttore sanitario de La Meridiana. “La meta non è la guarigione, vivere una buona giornata può rappresentare un buon traguardo. Di solito il tempo trascorso nell’Hospice è breve, è un tempo di accompagnamento verso la fine della vita. Eppure tra le mura dell’Hospice si dilata moltissimo proprio perchè cerchiamo di dare significato a ogni istante, anche attraverso un’emotività che ‘fuori’ si fa fatica a trovare”.
“E’ difficile descrivere bene ciò che facciamo in Hospice”, sottolinea Jona Feracaku, coordinatrice degli infermieri. “L’obiettivo è alleviare il dolore, accompagnare in un fine vita dignitoso, prendere in carico non solo il paziente ma tutta la famiglia. E’ faticoso fisicamente, psicologicamente, ma è una fatica che viene ripagata dalle relazioni che si creano con i familiari e i pazienti. A volte è difficile approcciarsi a persone che vivono un momento così complesso, ma poi accade che chi ci vedeva inizialmente come ‘nemici’ inizi a considerarci come i migliori amici. Per noi questa è una grande soddisfazione, è ciò che dà senso al nostro lavoro. Un lavoro che consiste anche nell’accompagnare i nostri pazienti ad accettare la morte non come una condanna ma come un premio di vita”.
I pazienti e le famiglie
Particolarmente toccanti sono state le testimonianze portate da chi ha vissuto l’Hospice come familiare e come paziente.
“Quando mio marito ha scoperto la malattia mi è caduto il mondo addosso”, racconta Laura, moglie di Franco. “MI sono trovata da sola ad affrontare la malattia di Franco, finchè mi sono resa conto di non avere gli strumenti per fronteggiare la situazione. Inizialmente ero scettica sull’Hospice (sarà il luogo della morte di mio marito?, mi chiedevo) ma poi mi sono resa conto che all’hospice c’erano delle possibilità in più per noi come coppia e anche per me come moglie. Abbiamo iniziato addirittura a fare delle feste all’interno dell’hospice, chiamando persino il catering. Momenti in cui si sentiva vivo, felice. Anche dentro la malattia ha avuto la possibilità di vivere ancora come uomo. Qui in Hospice siamo stati insieme, abbiamo lavorato insieme, abbiamo dormito insieme. Qui ho potuto essere me stessa e la moglie di Franco. E questo posto mi ha dato l’energia per farcela anche dopo. Tanto che non sono sicura di potere fare a meno”.
“Si diventa fragili, si cerca il sorriso, l’attenzione”, dice Lorenza, ex degente, che sottolinea a sua volta la profonda solitudine causata dalla malattia. “Un conto è avere la prospettiva di una guarigione, ma che tipo di vita è una vita che ti dicono che potrebbe finire?” Di qui la scelta, dall’ospedale, di entrare in Hospice. “Qui dall’attenzione alla malattia si passa all’attenzione alla persona. Tutti i membri del personale si sono presentati al mio arrivo, la struttura è bella e accogliente. Non mi fa pensare a un posto dove bisogna guarire da una malattia, mi fa pensare di essere in villeggiatura”. E se la malattia ti obbliga a ri-programmare la tua giornata, a cercare un senso, “spesso lo trovi proprio nella vita di chi ti gira attorno, nel quotidiano, nel presente”.
Interviene anche padre Piero Ottolini, cappellano dell’Hospice: “In questo luogo cerco soprattutto di guardare, e di vedere, la ricchezza vera di umanità che i malati e i familiari qui esprimono”, sottolinea il sacerdote parlando del proprio ruolo. “In Hospice io voglio essere soprattutto un testimone, dell’amore che è più forte della morte, che permette di vivere pienamente la vita fino alla fine”.
Un nuovo servizio ambulatoriale
In occasione dell’evento, il dottor Andrea Magnoni e Sara Zambelli, assistente sociale dell’Hospice, hanno presentato un allargamento dei servizi. Presto sarà attivo infatti un vero e proprio ambulatorio dedicato a chi è sottoposto a cure palliative. Grazie alla presenza dell’assistente sociale, oltre alla possibilità di visite specialistiche, è previsto anche un servizio di ascolto e di orientamento sia sulla rete dei servizi sociosanitari sia normativo.
Un progetto completamente gratuito grazie all’importante finanziamento di Claudio Bescapè che, dopo aver assistito la moglie malata di Sla, ha deciso di “fare concretamente qualcosa” per una struttura che lo ha accompagnato in un percorso complesso.
“La fine della vita apre il sipario ad un’infinità di domande che ci conducono verso la ricerca di un senso che possa riempire positivamente lo scorrere del tempo, tanto o poco che sia”, conclude Roberto Mauri, direttore della Cooperativa La Meridiana. “Portando avanti i progetti dell’Hospice San Pietro vogliamo contribuire proprio ad ‘abbattere’ le barriere culturali erette su questo grande tema, con cui tutti dobbiamo fare i conti e davanti al quale spesso la nostra società si rivela impreparata”.