di Francesca Radaelli
È uno dei giochi da tavolo più conosciuti e diffusi in tutto il mondo, capace di conquistare, dagli anni Trenta del Novecento ad oggi, più di 1 miliardo di giocatori in ben 114 paesi. Il 7 marzo 1933 Charles Darrow deposita il brevetto del Monopoly. Due anni più tardi la società Parker Brothers pubblicherà la prima edizione del gioco basato sulla compravendita di terreni e immobili, che curiosamente fu concepito da un ingegnere americano rimasto disoccupato durante la Grande Depressione.
Incassato un primo rifiuto da parte della Parker Brothers (che aveva inizialmente bocciato il gioco per la lunghezza eccessiva delle partite) Darrow aveva deciso di produrlo autonomamente e commercializzarlo in un grande magazzino di Philadelphia, riuscendo a venderne ben 5000 copie e spingendo la società editrice a ritornare sui propri passi, ad acquistare i diritti del Monopoly e a proiettare il gioco verso un incredibile successo planetario. Nonostante la crisi economica, infatti, nel giro di un anno la casa produttrice faticò a star dietro alle ordinazioni: i dati sulla produzione parlano di circa 20 mila set di gioco la settimana, 2 milioni nei primi due anni.
Questo, almeno, è ciò che racconta la storiografia ufficiale. In realtà, c’è una storia molto più complessa dietro alla nascita di Monopoly, il cui nome evoca quel ‘monopolio’ – rappresentato dal dominio dell’intero mercato, nel caso specifico immobiliare, da parte del singolo venditore – che è l’obiettivo finale di ogni partita e che ha reso il gioco una sorta di inno al capitalismo, determinandone, tra l’altro, la censura nei paesi dell’Unione sovietica durante la Guerra fredda.
Dietro alla nascita del primo Monopoly, in realtà c’è tutta un’altra filosofia. Ci sono un altro gioco, denominato The Landlord’s Game e un’altra persona, che lo aveva ideato e proposto già ai primi del Novecento. Questa persona era una donna, si chiamava Elizabeth “Lizzie” Magie ed era un’attrice del Maryland sostenitrice delle teorie economiche di un filosofo di Philadelphia di nome Henry George. Costui predicava che nessuna singola persona potesse reclamare il diritto di possedere un terreno e vivere di rendita su di esso, poiché è solo la società a dare un valore alla terra: proponeva pertanto una grande riforma della proprietà terriera – e del capitalismo ‘selvaggio’- attraverso l’introduzione di una tassa, la cosiddetta single tax, sui terreni e le risorse naturali. E proprio questa tassa comune è uno degli elementi attorno a cui ruotava “il gioco del proprietario” di Lizzie, che voleva in realtà mettere in guardia sugli eccessi del capitalismo, si diffuse presso la comunità quacchera di Atlantic City e, a quanto sembra, venne mostrato nei primi anni Trenta al futuro inventore ufficiale del Monopoly.
E in Italia? Nel nostro paese il Monopoly è legato alla fondazione di una vera e propria casa editrice di giochi da tavolo. Nel 1935 il grande Arnoldo Mondadori, mostrò una scatola del “Monopoly” giunta dall’America ad alcuni traduttori della sua casa editrice. Tra questi c’era l’allora 29enne Emilio Ceretti, che prese spunto dal suggerimento per inaugurare con i colleghi Walter Toscanini e Paolo Palestrino l’Editrice Giochi, il cui primo prodotto fu appunto il ‘Monopoli’: con la ‘i’ finale, perché in epoca fascista le parole inglesi o straniere non erano permesse, e con l’accento sulla seconda ‘o’, che in italiano non ricordava più il monopolio bensì la città italiana in provincia di Bari. I nomi delle strade della prima edizione italiana erano nomi di strade di Milano (con l’eccezione dei primi terreni, Vicolo Corto e Vicolo Stretto) raggruppate per temi (le montagne, l’università, gli esploratori). Uniche differenze rispetto alla versione odierna erano “largo Littorio”, oggi “largo Augusto” e “via del Fascio”, l’attuale via Nirone a Milano, che nel gioco di oggi è diventata “via Roma”. Una curiosità: “viale dei Giardini” altro non era che era la via di Milano dove viveva Ceretti all’epoca, pagando a quanto sembra un affitto piuttosto caro.
Economia e storia, capitalismo e filosofia, Grande Depressione e fascismo. C’è tutto questo dietro a un gioco capace di attraversare il Novecento senza perdere popolarità. E che ancora oggi conserva il non comune potere di mandare in prigione milioni di aspiranti tycoon in tutto il mondo. Senza passare dal via.