di Mattia Gelosa
Gli eredi hanno dato l’ok e la Ambi insieme con la Ldm sono pronte a finanziare il progetto, con la prima che si occuperà anche della distribuzione su scala mondiale. La domanda sorge spontanea a tutti: ne sentivamo davvero il bisogno? La risposta non può che essere negativa, perchè un film del calibro del capolavoro felliniano (era il 1960) ancora oggi può dire tantissimo e si lascia vedere con fascino e ammirazione, non è invecchiato affatto e dunque non sente il bisogno di una nuova veste.
La storia (minuscolo) non è legata a nessun evento della Storia (maiuscolo), per cui cambiando il contesto in cui il film si guarda potrebbero cambiare le nostre sensazioni, non ci troviamo di fronte a B-movie su alieni o catastrofi nucleari tanto in voga negli anni della paura per la Guerra Fredda, per fare un esempio. Anzi, la forza de “La dolce vita” è quella di toccare temi e situazioni ancora attuali: quel che sta succedendo attorno a Medjugorje non somiglia forse al falso miracolo che tanta gente attira fuori Roma? E il giornalismo legato ai vip non impazza forse oggi più che mai? E pensare che il termine paparazzo arriva proprio dal cognome di uno di questi giornalisti del film!
Fellini racconta episodi, ma sono stralci simbolici di vite, di condizioni sociali e soprattutto di condizioni mentali e spirituali. Abbiamo adulti che non vogliono davvero crescere e affrontare il mondo, così si perdono in chiacchiere da salotto assai vicine alle moderne chiacchiere da bar. Abbiamo anziani che vogliono restare giovani e si dedicano alla bella vita e al sesso finchè il cuore regge, ma sarà per poco. Abbiamo, infine, uomini di mezza età che non comprendono i veri sentimenti, che si accorgono troppo tardi di aver buttato il loro tempo e che ormai non possono più rispondere al richiamo dell’amore vero, quello innocente di una ragazza che ci invita a seguirla sulla spiaggia, ma la cui voce è coperta dal rumore del vento. Con questo finale da brividi Fellini chiude un film che dà un calcio anche a un’intero movimento, il neorealismo, e alla sua prima produzione, lasciando stare la tematica degli addii per affrontare ora opere più simboliche ed oniriche che scavano a fondo l’animo umano e la società.
Riciclare un lavoro del genere per una pura questione economica è non solo un insulto a Fellini e al cinema come arte, ma davvero qualcosa di inutile e sbagliato: nessuno entrerà mai nella fontana di Trevi con la grazia di Anita Ekberg e nessuno interpreterà mai Marcello e la sua crisi meglio di Mastroianni!
Se davvero volete fare del bene al cinema non rifate il film, ma rimandate nelle sale quello originale: di questo sì, ne sentiamo davvero bisogno, perchè con Fellini c’è ancora da imparare, da stupirsi e da emozionarsi.