di Virginia Villa
Non è facile parlare di un romanzo quando la trama è strettamente legata alla storia personale dell’autore, quando la ricalca in pieno pur non essendo una autobiografia.
“Febbre” è un romanzo di Jonathan Bazzi che procede su due binari, il passato e il presente, che alla fine convergono nelle ultime pagine del libro.
Il passato, raccontato nella parte iniziale del libro, è rappresentato dall’infanzia trascorsa a Rozzano ed è interessante scoprire come questo luogo, gli affetti e le amicizie hanno influenzato molto la vita dell’autore. Jonathan è un bambino che ha bisogno di affetto e di attenzioni. Non si diverte a trascorrere il tempo con i ragazzini della sua età, ma preferisce stare solo. Questo suo isolamento è dettato dal fatto che Jonathan si sente diverso ed in fondo lo è. E’ proprio questa la bellezza: ognuno è diverso dall’altro, ma quando si è piccoli è difficile capirlo ed accettarlo sembra impossibile; minimizzando la questione, possiamo dire che Jonathan ai giochi da maschio preferirà sempre quelli da femmina.
Sempre nelle prime pagine del romanzo scopriamo l’infanzia difficile di Jonathan, i tentativi di sopravvivere ai bulli, la distanza dalla mamma che vive con profonda sofferenza e l’odio per una città che le sta troppo stretta.
La parte centrale del romanzo è quella più dura e inizia con il verdetto che riceve dal suo medico. Una strana febbre sembra essersi impossessato di lui, durando a lungo, così decide di andare a fare degli esami. Nel 2016 arriva la conferma: Jonathan è sieropositivo. L’HIV era qualcosa di sconosciuto per Jonathan e che fino a quel momento guardava con distacco, come se non avrebbe mai interessato la sua persona. Da quel giorno del 2016 la vita dell’autore cambia e si è trovato davanti ad una scelta: nascondere la verità o dirlo? Ecco come ha deciso di reagire:
“Davanti al pregiudizio alzare la posta: meglio tacere? Lo sapranno anche i muri.”
La parte finale del romanzo è quella che più ho amato perchè rappresenta una vera e propria liberazione dalla vergogna che una malattia come la sua porta con se, specialmente in una società come la nostra. Ma è anche la liberazione dalla vergogna dell’omosessualità, della ricerca spasmodica e disperata di felicità, dai propri pensieri autodistruttivi, per essere finalmente libero, appunto, di essere quello che è.
Inizialmente si ha la sensazione che quella di “Febbre” possa essere una lettura difficile per via della malattia e invece la malattia riesce a passare in secondo piano. Bazzi prima di essere una persona affetta da HIV, è una persona. Punto.