La felicità non si compra!

di Francesca Radaelli

La felicità si può comprare? O meglio: quale economia può generare vero benessere? Si è arrivati con queste domande al terzo incontro del percorso formativo “Alla ricerca della felicità” proposto quest’anno da Caritas Monza l’ultimo lunedì del mese, nella biblioteca del Carrobiolo. Ospite e relatore della serata – dal titolo “Quando il benessere non si compra: equilibrio tra valori e ricchezza. Beato chi investirà in economie di comunione” – è stato Ivan Vitali, economista “bocconiano”, allievo dei fondatori della scuola di economia civile Luigino Bruni, Stefano Zamagni, Leonardo Becchetti.

Proprio sul concetto di economia civile si sofferma Fabrizio Annaro, giornalista del Dialogo di Monza, introducendo la serata: “Il pensiero economico si può articolare sommariamente in due principali scuole”, spiega. “Da una parte quella liberista dove il mercato è il produttore di valore e le parole chiave sono “massimo profitto – massima utilità”, e anche massimo individualismo. Dall’altra c’è una scuola ispirata a una visione marxista dove il valore nasce dal lavoro, questo valore nei processi storici non viene condiviso, e di conseguenza si apre il conflitto fra le classi sociali. L’economia civile si inserisce in mezzo a queste due visioni: pone al centro la persona e il valore viene generato dalla relazione e dalla solidarietà”. Economisti come Bruni e Zamagni hanno cercato di intrecciare il tema economico ai valori del Vangelo, “un’operazione in linea con le riflessioni di papa Francesco, che ha portato la Chiesa a interrogarsi sul tema dell’uso del denaro e del lavoro”, ricorda Annaro.

Da sinistra: Ivan Vitali, Mino Spreafico, Fabrizio Annaro

Di temperanza nell’uso del denaro e dei beni materiali ha parlato anche il cardinal Martini, al fine di  “stroncare le radici di quella avidità che crea ingiustizia”, intesa anche come corruzione amministrativa in ambito pubblico.

Dalla giustizia alla carità: le parole di Martini

Mino Spreafico, pedagogista Università Cattolica Milano, commenta poi alcuni passaggi di una lettera scritta dal cardinale nel 1987 all’amministrazione provinciale di Varese, dal titolo “La dialettica tra carità e giustizia nel rapporto tra pubblico e privato”. “Martini individua nella ‘giustizia’ la radice della convivenza sociale, ciò che orienta il proprio agire agli altri”, sottolinea Spreafico. “Una seconda parola chiave citata nel documento è ‘uguaglianza’, con la distinzione tra uguaglianza formale e sostanziale. Quindi si parla di ‘amicizia’, poiché una società giusta in cui tutti sono uguali in modo formale e sostanziale è una comunità di amici. Infine il cardinale introduce il concetto di ‘carità’, che ci pone davanti all’altro proprio in quanto altro, o piuttosto ci consente di aprirci al nudo volto dell’altro senza la pretesa che egli debba diventare quale noi vorremmo che fosse. Però Martini dice anche”, continua Spreafico, “che la carità è diventata una specie di stampella della società non giusta, ma questo non è evangelico: semmai la carità deve anticipare, stimolare la società giusta. La giustizia dei bisogni e dei diritti già noti, secondo Martini, è chiamata a superare sé stessa in direzione di un modello ideale di convivenza che la carità non cessa mai di indicare di anticipare, spronando poi a ricercare le cause strutturali degli stravolgimenti del funzionamento delle istituzioni”.

La persona al centro e la relazione con l’altro

La parola passa quindi all’ospite della serata, il professor Vitali, che parte proprio dal concetto di economia civile e dal titolo della sua tesi di laurea in Economia: “Distribuire valori e non profitti: la centralità della risorsa umana nelle scelte del terzo settore”. “Cosa vuol dire concretamente mettere la persona al centro, fare delle scelte dove l’altro è mio fratello, dove l’altro è il motivo per cui faccio fatica?”, si chiede, e chiede al pubblico. “È il motivo per cui mi interessa di meno avere il 2Oesimo orologio o l’automobile con 300 cavalli anziché 70”. E aggiunge una provocazione. “Oggi in qualsiasi grande città la velocità media di percorrenza nell’ora di punta delle auto più potenti che potete immaginare è 7 km all’ora. Posso pensare che se devo fare il percorso da A a B in tot. tempo e prendo un’auto più potente, realisticamente brucio al semaforo gli altri e arrivo prima: questo è ragionamento di uno che vive come monade, come nelle pubblicità dove le auto sfrecciano senza che ci sia nessuno sulle strade. Però ci sono anche gli altri, e anche gli altri possono pensare la stessa cosa: così anche se prendo l’auto più potente e nessuno brucia nessun semaforo, anzi il risultato è il congestionamento. Questo perché esiste l’interazione tra le persone”.

Ivan Vitali

Oggetti o relazioni: cosa comprare?

“Non è un algoritmo l’essere umano”, ricorda Vitali. Se è vero c’è un tipo di economia che dice che bisogna stare in piedi dal punto di vista del conto economico, stato patrimoniale, del cash flow, tutto questo però secondo l’economia civile non basta. “La felicità, il benessere non lo compri. Puoi comprare degli oggetti di conforto, che ti fanno star meglio. Ma la differenza tra i beni di conforto e i beni relazionali è enorme: i beni di conforto sono quelli che soddisfano il tuo bisogno nel momento in cui ce li hai, ma le relazioni che ho con le persone quando vado, per esempio dal parrucchiere, mi fanno sentire bene. Il parrucchiere non esegue semplicemente un contratto economico, parla con me, mi ascolta, instaura una relazione. Pensiamo al lavoro di cura, per esempio alle persone a cui affidiamo i nostri anziani: cosa gli chiediamo di essere? Chiediamo un livello massimizzato di sostituzione di pannolone? Di essere le più efficienti preparatrici di colazioni di pranzi?”

Ci si chiede allora cosa significhi avere un rapporto equilibrato con il denaro. “Qualche migliaio di anni fa, l’azione dell’uomo era volta ad accumulare perché non c’era certezza del domani né del dopodomani. Oggi probabilmente nessuno di noi pensa che non mangerà fra un mese. Eppure siamo consapevoli anche che la nostra è una condizione che non riguarda neanche la metà del mondo. Perché allora ho bisogno di tenere il denaro per me, di pensare continuamente al massimo rendimento?”

Il paradigma dell’abitare generativo

Vitali si sofferma sull’esperienza di abitare generativo, citando un’esperienza che lo vede protagonista a Bergamo: “Le persone si mettono insieme, mettono del denaro in un progetto che sta sul mercato. C’è stata gente di 55-60 anni che ha messo 75.000 di prestito per realizzare quella che sarebbe stata la propria casa, mentre persone di trent’anni ha messo 2000 euro. Il criterio di giustizia e uguaglianza che sta dietro questa distribuzione non è così immediato. Occorre fidarsi dell’altro, della persona che magari non conosco, ma insieme alla quale sto progettando la mia casa. Mi interessano le relazioni che quella casa potrà permettere: vengo perché ci sono spazi comuni, vengo perché ci sono orti comuni, vengo perché c’è una condivisione”. Attenzione, però, ammonisce Vitali: l’abitare generativo non è il mondo ideale, non si va sempre tutti d’accordo, l’economia civile non è fatta di gente che non litiga mai. “Le relazioni sono qualcosa di concreto, comportano fatica: basta pensare a quelle quotidiane con moglie, marito, figli, genitori anziani”.

Da sinistra: Ivan Vitali e Mino Spreafico

La felicità si può misurare?

In cosa consiste però il benessere? “Per dirla con Erich Fromm”, si chiede Vitali, “è “essere” o “avere”? E’ il “come” sono e il “come” ho, oppure è soltanto il “quanto”? I valori, i fondamenti della vita cristiana, ma anche della vita civile, nella mia esperienza non sono un punto finale, perché non ci si arriva, si fa fatica: eppure questa è una vita fatta di relazioni. Una vita dove il denaro diventa una possibilità di prendere e di dare, un flusso, non soltanto uno stock che accumulo, dove non guardo soltanto al massimo rendimento ma guardo al massimo impatto.  Pensiamo a tutte le possibilità che abbiamo di fare giustizia, di usare bene il denaro: si vota anche con il portafoglio, tutti i giorni, scegliendo i prodotti della spesa, così come i locali in cui si prende il caffè”

Il patrimonio, conclude l’economista, “può diventare generosità, gratuità, oppure grettezza, speculazione, posizione di rendita, può portare a fare impresa, a promuovere un lavoro giusto, oppure uno sfruttamento”.

La reazione del pubblico

È un modello per certi versi “scomodo” quello che propone Ivan Vitali, eppure le sue parole sembra far breccia nel pubblico della serata, stimolando diversi interventi e riflessioni. Arriva per esempio la proposta, un po’ provocatoria, di partecipare anche economicamente, con una sorta di “decima” alla comunità parrocchiale, cui segue una riflessione di Vitali sull’opportunità che siano le persone a decidere insieme per cosa utilizzare questi fondi.

Le parole “difficili”: gratuità, reciprocità, solidarietà

Mino Spreafico condivide invece una riflessione sulla “gratuità”, a partire ancora una volta dalle parole di Carlo Maria Martini, che rifletteva, nel lontano 1997, sul fatto che fosse una parola che allarga il cuore, ma stesse diventando una parola sospetta, così come solidarietà. Anche oggi, in effetti, spesso ci si domanda quali interessi nasconda il termine gratuità, a che cosa serva qualcosa che non genera profitto. Eppure, come diceva il cardinale, senza gratuità non ci sarebbe nemmeno il dono della vita.

Ivan Vitali si richiama di nuovo al progetto di abitare generativo a Bergamo, reso possibile da persone che, contro tutte le valutazioni e previsioni degli esperti, hanno scelto di investire del denaro “gratuitamente”, e in un secondo momento sono riuscite anche ricevere degli interessi.

Emerge poi dalla discussione il tema della “reciprocità”, altra parola chiave dell’economia civile. Si riflette sul fatto che, in Brianza, il tema della gratuità e del dono sia ben presente, almeno in ambito cattolico, mentre proprio la reciprocità e lo scambio sembrino qualcosa di più lontano. Non sempre però basta la filantropia, ma è necessario costruire relazioni di pari dignità, basate sul fatto che ognuno, anche chi è in difficoltà, ha in sé risorse e competenze da condividere. Una reciprocità che non è determinata da un calcolo preciso ma si basa sulla fiducia nell’altro.

Un’ulteriore riflessione è sulla criminalizzazione dei movimenti basati su solidarietà e gratuità: il riferimento è alle realtà che si sono occupate di richiedenti asilo o di soccorso in mare venendo additate come criminali, dannose per la società.

I “patrimoni” da riscoprire

Si riflette poi sul concetto di tempo come patrimonio e ricchezza paragonabile al denaro, viene ripreso il tema dell’abitare generativo facendo riferimento anche ai beni immobiliari inutilizzati – appartamenti sfitti, proprietà ecclesiastiche – che potrebbero essere utilizzati a beneficio di progetti e persone che necessitano di una casa.

Insomma, forse la chiave per un approccio più costruttivo verso il denaro e il possesso dei beni sta proprio nel valorizzarli come mezzi da far fruttare sul piano qualitativo più che quantitativo. Certamente la felicità non si compra con le ricchezze, però il benessere si può provare a costruire utilizzando al meglio i beni a disposizione, non con il solo fine di accumulare oggetti per sé ma piuttosto con quello di creare relazioni positive all’interno di una comunità. Nella nostra società del benessere, in cui tutto si può comprare tranne la felicità vera, forse è proprio quello delle relazioni, seppur faticoso, il “valore” in vista del quale provare a “investire” tempo e denaro.

Qui il video completo della serata: Alla ricerca della felicità – Un percorso per stare bene

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