di Vladislav Karaneuski
Guardo un gatto, che guarda dalla finestra un altro gatto, che guarda il mondo, il tempo e la vanità della propria epoca. L’epoca delle rose e delle spine, dove le spine vivono anche dopo la morte delle rose, per punzecchiare i nuovi nati, in un flusso incessante e sempiterno, nell’eternità del tempo di un’epoca che non si concluderà mai.
Indifferenza, dolore, insoddisfazione dei desideri, vita e eterno. Un eterno che però vive nascosto dietro al mortale, al finito. E chi non vede l’eterno, non lo vede per paura della propria essenza finita.
E sfrecciano le auto, dai mille colori. Sfrecciano verso la loro fine su una strada che non finisce, che è infinita, eterna.
Ma che cos’è l’eternità se siamo destinati a finire?
Niente. Nient’altro che una retorica pseudoreligiosa, un sogno destinato ad assopirsi in un silenzio finale. Non è questa l’epoca dei sogni, questa è l’epoca dei risvegli.
I sogni non sono reali, l’eternità non è reale, il finito invece lo è.
Perché il finito è realismo e la nostra epoca chiede qualcosa di reale e non di fittizio. E anche l’esistenza deve essere reale, ma l’infinito non lo è. Ma cos’è il finito invece? Una parte del tutto? Una condanna? L’unica speranza?
Non lo so. Non me lo sono mai chiesto. Continuo a sfrecciare verso la fine del reale, come una goccia che cade dal cielo, come una lancetta che sta per completare il giro. Enfasi, furia, velocità, superficialità. Continuo a correre senza sapere perché lo faccio. Non mi è dato saperlo. Non è reale. Bisogna essere veloci, perché la lentezza è di chi è eterno, di chi lento vuole andare troppo lontano.
La lentezza è di chi si ferma a riflettere, di chi non accetta il reale, il finito. E chi non accetta il reale è destinato all’eterno, che però è sogno, non realtà.
La velocità della superficialità invece porta al finito, alla realtà. E questa è l’epoca della velocità e non della lentezza.
Allora adeguiamoci a non pensare lentamente, ma a velocemente agire. Perché ci rincorre la condanna del tempo. Non siamo destinati all’eterno.
Ma se non fosse così?