di Luigi Losa
Oggi, domenica 20 novembre, con la chiusura della Porta Santa in San Pietro (in tutte le basiliche e chiese giubilari del mondo le Porte Sante sono state chiuse domenica scorsa 13 novembre) si conclude l’Anno Santostraordinario, il Giubileo della Misericordia indetto da Papa Francesco che lui stesso aveva aperto l’8 dicembre dello scorso anno (con un ‘prologo’ il 29 novembre nella cattedrale di Bangui nella Repubblica Centrafricana).
La domanda che sorge spontanea è: cosa resta e cosa resterà di questo Anno Santo? Cosa resta e cosa resterà di tanto parlare, e fare (?), di misericordia? La risposta, terra terra, potrebbe anche ridursi ad un mah! Un boh! Un uhm!
Perchè è stato proprio un anno di Misericordia questo 2016 in cui, dai massacri in Siria agli attentati terroristici in Francia, Belgio e altre parti del mondo, dal terremoto tragico in Italia ai profughi e migranti in movimento da tutto il mondo e specialmente dall’Africa verso il nostro Paese, dai muri e reticolati alzati qua e là alle piccole grandi traversie quotidiane, ci è venuto spesso spontaneo chiederci dove sta andando questo mondo, dove sta finendo l’umanità, dov’è finito persino Dio?
E invece, a pensarci bene, la parola ‘misericordia’ è riecheggiata come non mai, è tornata ad essere protagonista perché in ogni situazione, anche la più devastante e terribile, è risultata essere l’unico e estremo appiglio, l’ultimo barlume di speranza e di conseguenza di vita.
E proprio quel Dio che ci è parso tanto assente e silente si è invece rivelato proprio l’essenza stessa della misericordia, consolando e perdonando, non abbandonando mai nessuno in qualsiasi momento e situazione.
E’ quella ‘banalità del bene’ che, rubando uno straordinario titolo ad un libro e ad una fiction su un eroe sconosciuto come Giorgio Perlasca (riscoperto da Enrico Deaglio), è stata illuminata proprio dalla misericordia non come sentimento o celebrazione, ma come condizione umana di un riconoscimento che non si può vivere e tantomeno salvarsi, nel senso di dare un significato alla propria esistenza, da soli.
Che è poi quello che, questo piccolo grande giornale che coraggiosamente naviga nell’oceano della rete con il suo carico di buone notizie (questo almeno è il suo sforzo), ha cercato di fare immaginando, ideando, realizzando ‘La Porta del Dialogo’, un manufatto d’arte nel quale si sono voluti concentrare idealità e passioni, sforzi e tentativi, volontà e speranze di un vivere migliore nell’oggi e più ancora nel domani.
Il Dialogo non è più stato in questo anno lo spazio, il luogo, il momento e il modo del variegato e imprevedibile equipaggio di una navicella informativa nella galassia informatica, ma la prima, basilare, fondamentale ed insieme elementare espressione, forma, possibilità di relazione autenticamente umana e di per sé misericordia.
Lo stupore che ci ha sorpresi tutte le volte che durante questo Giubileo abbiamo incontrato persone ‘attraverso’ ‘La Porta del Dialogo’ è stato la nostra personalissima ‘riconciliazione’ con l’umanità che è poi il fine ultimo proprio della misericordia.