La misura dell’inespresso. Masao Yamamoto, Ettore Frani ai Paraventi Giapponesi di Milano

di Daniela Annaro

 “Ci sono colori che rendono ciechi gli occhi degli uomini” – Lao Tze

Ci sono emozioni che non riusciamo a esprimere  a parole, non riusciamo a riferirle,  spesso perché appartengono al nostro profondo.

Ci sono emozioni  che i linguaggi dell’arte invece  suggeriscono, creando  spaesamento e, nel contempo, incanto. Non sappiamo dirlo a parole, però, quell’immagine , quei colori, quella luce, quella definizione dello spazio, quell’effetto complessivo è in totale sintonia con noi, esprime l’inesprimibile.

Così  accade vedendo l’ultima mostra nella piccola, ma raffinata, Paraventi Giapponesi – Galleria Nobili di Milano – via Marsala,4.

Due gli artisti in dialogo fra loro e con noi: il famoso  fotografo giapponese  Masao Yamamoto (Aichi,1957) e il bravissimo artista italiano Ettore Frani, (Termoli,CB, 1978). Tutto nasce quando  a Frani viene assegnato il premio Special Project nell’ambito del PREMIO ARTE CUP 2016, riconoscimento  di cui la Galleria Nobili è partner. Fu proprio in quell’occasione che fra i due artisti scoccò un quid, un’empatia.

Yamamoto Masao

Entrambi, pur provenendo da universi artistici diversi, da mondi e terre distanti tra loro, avvertirono un’unità di fondo, una sensibilità e un agire comune. Questa la genesi della mostra che propone sei fotografie di Masao Yamamoto  appartenenti al ciclo Shizuka.

Ettore Frani  presenta una serie di oli su tavola laccata di varia dimensione.

Matteo Galbiati, curatore della mostra spiega:

Più nello specifico sembra che Masao e Frani partano da antipodi geografici per incontrarsi a metà del cammino: le tavole dell’artista italiano colgono appieno la contingenza insita nel tempo quotidiano sotto cui risiede  l’eterna ciclicità che è la legge fondamentale della Natura. (…) Il silenzio che affiora (nelle loro opere ndr) è ottenuto da entrambi grazie ai vuoti abbacinanti dei bianchi, all’infinita gamma di semitoni grigi in tensione lirica con gli sfondi cupi da cui, i due artisti, plasmando lo spazio fanno emergere l’essere sottraendolo all’oblio dell’ombra. Non a caso risulta secondaria  per loro la ricerca di tematiche predominanti, poiché l’autore assoluto non è tanto il soggetto rappresentato, quanto l’inconsistenza del tempo di una realtà che non permane.

 

 

 

 

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