di Francesca Radaelli
“Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo”.
Così diceva Pier Paolo Pasolini al giornalista Furio Colombo il 1°novembre 1975, in un’intervista che sarà pubblicata pochi giorni dopo sulla Stampa. L’indomani, il 2 novembre, il suo corpo fu ritrovato privo di vita sulla spiaggia di Ostia, brutalmente ucciso dalle percosse e investito dalla sua stessa automobile. L’intellettuale bolognese aveva 53 anni.
Una storia ‘complicata’ quella della morte di Pier Paolo Pasolini. Una storia su cui, a 40 anni di distanza, non si è ancora finito di scrivere un fiume di inchiostro. Né tantomeno di girare film o documentari.
Poeta, regista e giornalista, a chi chiedeva quale definizione preferisse, disse una volta che sul passaporto aveva scritto semplicemente ‘scrittore’. Ora diremmo che attraverso la penna e la cinepresa ‘scrisse’ la storia della cultura di quegli anni. Suscitando spesso non poco scandalo, tanto con le sue opere quanto con i suoi comportamenti. Per i film Accattone, Mamma Roma, Decameron, con i romanzi e gli Scritti Corsari. Per i suoi vagabondaggi notturni nelle periferie di Roma, per quei ‘ragazzi di vita’ a cui aveva dedicato uno dei primi romanzi. Nell’Italia del boom economico e delle contestazioni del ’68, Pasolini rappresentò soprattutto un punto di riferimento culturale. Spesso controcorrente. Nella critica alla società dei consumi, dei mezzi di comunicazione di massa, del sistema educativo di stato, del potere che rende tutti quanti soggiogatori e soggiogati. Insomma della cultura di massa, di “quest’ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere”.
E allora in che senso siamo tutti in pericolo? A che cosa si riferivano quelle ultime parole di Pasolini?
Forse sono queste le domande da porsi innanzitutto, al di là degli interrogativi ancora privi di risposta su ciò che accadde effettivamente quella notte tra il 1° e il 2 novembre di 40 anni fa, al di là delle discussioni ‘complotto sì/complotto no’.
Siamo ancora, davvero, tutti in pericolo? Perchè?
“In Italia non c’è sacralità della cultura”, disse Alberto Moravia commentando la morte dell’amico. “Se ci fosse la sacralità della cultura forse Pasolini non sarebbe stato ucciso”.
Francesca Radaelli