di Carlo Rolle
Buongiorno, amici lettori, oggi vi propongo uno dei numerosi romanzi di Georges Simenon (1903 – 1989) pubblicati nella collana “Biblioteca” Adelphi: “La neve era sporca”.
Questo non è un romanzo fantastico, come i precedenti due che ho recensito in questa serie. Nonostante la vicenda sia immaginaria, è proprio il realismo dei dialoghi e delle situazioni ad essere uno dei punti di forza di questo libro, come degli altri romanzi di Georges Simenon.
Ci troviamo in una città del Nord della Francia occupata dai Tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. L’intera vicenda si svolge nel corso di un singolo inverno.
Frank è un ragazzo di diciannove anni, che vive con la madre, Lotte, la quale gestisce all’interno del suo appartamento una piccola casa di tolleranza. Frank è uno psicopatico, ce ne renderemo conto presto: una rabbia silenziosa alberga in lui, alimentata dal luogo in cui vive. Nel modesto appartamento abitano anche un paio di ragazze, che trovano lì vitto e alloggio; quando arrivano dei clienti, li accontentano. Quando non ce ne sono, sbrigano le faccende domestiche, perché sono giovani e sprovvedute e non avrebbero dove andare. Frank approfitta occasionalmente della loro disponibilità, ma la promiscuità che regna nell’appartamento lo spinge a trascorrere molte ore da Timo, un bar frequentato da trafficanti e altri loschi figuri.
Un clima di precarietà e violenza grava sulla città, a causa della guerra e dell’occupazione. Ogni giorno viene fucilato qualcuno, altri spariscono nel nulla. Tutti vivono nella penuria e nella paura; devono pensare a procurarsi il cibo e il carbone per riscaldarsi.
Le nubi che sempre coprono il cielo in questo libro alludono alla mancanza di prospettive di tutti i personaggi. Nessuno di loro aspira a qualcosa, ognuno pensa a sopravvivere e a tenere la bocca chiusa, perché non c’è da fidarsi di nessuno.
Frank ha diciannove anni e il problema a quell’età è diventare adulto, costruirsi un’identità. Ma come può farlo? Il padre non l’ha mai conosciuto, non si sa nemmeno chi fosse. Gli unici uomini che frequentano la casa sono i clienti delle prostitute. A scuola non va e nemmeno lavora. Non ci sono quindi figure di riferimento per lui, né obiettivi da conseguire.
Frank non attribuisce valore all’istruzione e alla cultura, perché nessuno lo ha mai indirizzato a ciò; non può apprezzare l’idea di costruirsi una posizione con il lavoro, perché non ha mai conosciuto qualcuno che lo abbia fatto; non può aspirare ad una relazione con una donna, perché ha immediatamente a portata di mano il sesso, che per gli altri giovani è un traguardo e impone una crescita. L’età della vita in cui Frank si trova gli imporrebbe di costruire, di intraprendere un percorso; ma costruire cosa? Dirigersi dove? Intorno a Frank c’è, da ogni parte, il vuoto.
Frank prende allora modello un certo Kromer, un poco di buono molto maggiore di lui, che frequenta il bar Timo, dove trova un pubblico per le proprie millanterie, per il suo atteggiamento da trafficante navigato e senza scrupoli. Si sa che Kromer ha già ammazzato un uomo, poco tempo prima, un tale che lo aveva importunato al bar, da lui tramortito con un pugno e poi gettato nel fiume. Frank, che ha il bisogno d’esser preso sul serio e di sentirsi uomo, decide che dovrà anche lui far fuori qualcuno.
Una notte, senza un perché, Frank tende un agguato in un vicolo ad un sottufficiale della polizia di occupazione, un uomo corpulento e alcolizzato, frequentatore delle prostitute del bar Timo. Lo uccide con un coltello e poi rientra a casa. La sua iniziazione è avvenuta; nessuno sa ciò che ha fatto, ma adesso lui sa che può uccidere. Non è stato difficile e lui non deve confrontarsi col dolore di alcuno. La sua vittima veniva da un altro paese, un militare tra milioni, nessuno lo conosceva se non le prostitute di Timo; nessuno lo piange.
Però per Frank una strada è iniziata: sa che potrà uccidere ancora. È intelligente e sa mantenere la calma e tenere a freno la lingua. Potrebbe commettere altri delitti all’occorrenza.
Un giorno Kromer gli dice che, grazie ai propri traffici, ha conosciuto un generale tedesco che colleziona di orologi. Kromer chiede a Frank se saprebbe come procurarsi degli orologi da vendere al generale, per poi dividersi il ricavato.
Da ragazzino, Frank aveva conosciuto un vecchio orologiaio che viveva in una casa isolata di un paesino dei dintorni. Kromer gli procura un’auto con un guidatore e un pregiudicato che gli dia manforte durante la rapina. Questa riesce, ma si conclude con un delitto, perché Frank viene riconosciuto dall’anziana vedova dell’orologiaio. Gli orologi vengono venduti al generale e Frank e Kromer si dividono una grossa somma.
Nel frattempo è accaduta un’altra cosa. Sullo stesso pianerottolo di Frank, vive un ex insegnante ridottosi a fare il conducente di tram. Costui ha una figlia adolescente, graziosa e modesta, che fa una vita ritirata ed è attratta da Frank, il quale esce con lei un paio di volte; la porta al cinema e una volta la porta nel bar Timo, dove Kromer la vede e chiede a Frank se gliela cederebbe una volta.
Frank, che vuol mostrarsi freddo e cinico come Kromer, si fa sfuggire un mezzo assenso, dal quale risulteranno tragici avvenimenti, che priveranno Frank di quel rapporto che avrebbe potuto aprirgli un accesso all’empatia verso un altro essere umano.
Simenon si cala con grande penetrazione psicologica nella mente di uno psicopatico; psicopatico che resta pur sempre un essere umano, anche se privo di empatia.
Frank, che in poco tempo ha commesso tre atti esecrabili, mantiene una certa paradossale purezza: a differenza di Kromer, non è un millantatore né un imbroglione, né prova gusto ad insozzare l’innocenza altrui.
È intelligente e ha nervi d’acciaio, ma è pur sempre ancora un ragazzo e commette l’ingenuità di mostrare in un paio di occasioni che dispone di banconote di grosso taglio. In un ambiente afflitto dalla penuria, queste cose si notano e si ricordano.
E poi c’è un’altra cosa che un ragazzo non può sapere, perché solo l’esperienza gliela potrebbe insegnare: e cioè che anche gli altri, anche coloro che non commetterebbero mai un delitto, possono essere feroci, ostili e manipolatori, e che alcuni di loro sono molto più esperti e accaniti di quanto lui possa immaginare. La neve era sporca quell’inverno nella tetra città di cui Simenon tace il nome: tutto è macchiato dal sospetto, dalla doppiezza e dalla ferocia.
Trascorrono alcune settimane in cui il lettore avverte, insieme al protagonista, che qualcosa si prepara. Non ne abbiamo la certezza, perché nessuno ha visto Frank commettere i due delitti, e quelli che potrebbero sospettare tacciono.
Simenon non si dilunga come Dostoevskij nel descrivere i processi psicologici di Raskolnikov, lo studente omicida di “Delitto e castigo”. Il linguaggio di Simenon è spoglio e reticente come quello dei suoi personaggi, che non si confidano, non trascorrono notti insonni, con compiono gesti impulsivi, concitati e rivelatori.
Simenon non descrive mai, né gli stati d’animo, né i fatti più violenti: persino dei due delitti non dice quasi nulla. Costruisce invece per brevi accenni, menzionando i piccoli gesti quotidiani e le laconiche parole dei suoi personaggi, un’atmosfera plumbea e gravida di minaccia.
Come scrittore, Simenon si vantava di usare un lessico limitato, fatto di parole comuni; evitava termini ricercati o innovativi accostamenti di parole. Eppure nel suo stile volutamente spoglio e disadorno, Simenon ci fa mirabilmente sentire, senza mai dirlo esplicitamente, come il delitto, anche quello commesso in circostanze particolarmente fortunate, crei intorno al suo autore una barriera invisibile. L’autore di un omicidio resterà per sempre tale, almeno ai suoi stessi occhi.
L’atto compiuto lo separerà per sempre dai suoi simili. Di loro, egli non potrà fidarsi più; non potrà mai sapere se la persona con cui interagisce sospetta qualcosa, perché chiunque celerà legittimamente i propri sospetti verso il possibile autore di un delitto.
Così, in maniera quasi impercettibile, intorno a Frank si fa il vuoto, non in senso fisico, ma in senso psicologico: egli sente che ogni giorno tutto potrebbe cambiare di colpo in modo rovinoso per lui, sente che il futuro gli è precluso per sempre. Nel tempo della sua vita in cui avrebbe dovuto iniziare a partecipare al consorzio umano, comincia ad allontanarsene, ad esserne espulso.
Siamo fin qui, amici lettori, solo all’inizio della vicenda narrata nel libro. In essa accadono molte cose che ovviamente non vi dirò. Frank compirà un percorso, nel quale avverranno anche cose che non si aspettava, né dagli altri né da sé stesso.
Sarà un percorso spietato, che sarà per lui rovina e crescita insieme. La neve era sporca … persino la cosa più pulita era sporca in quella città e in quel tempo feroce. Questo volle forse dirci Simenon con il titolo di questo libro.
Arrivederci, amici lettori, alla prossima recensione!
Per chi fosse eventualmente interessato, ecco i link alle precedenti recensioni:
– 1) “Storie e leggende napoletane”, di Benedetto Croce;
– 2) “Il monaco nero in grigio dentro Varennes”, di Georges Dumézil;
– 3) “I Vangeli Gnostici”, a cura di Luigi Moraldi;
– 4) “La Cripta dei Cappuccini”, di Joseph Roth;
– 5) “Fuga da Bisanzio”, di Iosif Brodskij;
– 6) “Andrea” o “I ricongiunti”, di Hugo von Hofmannsthal;
– 7) “Lo stampo”, di Thomas Edward Lawrence;
– 8) “Un altro tempo”, di Wystan Hugh Auden;
– 9) “Fuga senza fine. Una storia vera”, di Joseph Roth;
– 11) “Mysterium iniquitatis”, di Sergio Quinzio;
– 12) “L’altra parte”, di Alfred Kubin;
– 13) “Massa e potere” di Elias Canetti;
– 14) “Edda” di Snorri Sturluson, a cura di Giorgio Dolfini;
– 15) “In Patagonia”, di Bruce Chatwin;
– 16) “La coscienza delle parole”, di Elias Canetti;