La palestra della felicità

La palestra della felicita-ph Laila Pozzo4219di Francesca Radaelli

Da cosa deriva la felicità? Come la si conquista? Con l’allenamento, con l’esercizio, con la lotta agonistica uno contro l’altro? È raggiungibile la felicità?

Sarà in scena sabato 9 e domenica 10 aprile al Teatro Binario 7 di Monza La palestra della felicità , divertente spettacolo diretto da Elena Russo Arman, scritto da Valentina Diana e interpretato da Elena Russo Arman e Cristian Giammarini, con musiche di Alessandra Novaga. Dopo il successo di Road Movie, la stagione di prosa Teatro+Tempo Presente del teatro monzese prosegue così con un’altra produzione del Teatro dell’Elfo di Milano, che vede sul palcoscenico una coppia teatrale affiatata e consolidata, formata da Elena  Russo Arman e Cristian Giammarini. Il quale, in questa intervista, ci racconta così  lo spettacolo.

 

Cristian Giammarini, come nasce La palestra della felicità?

Tutto nasce da un’idea di Elena Russo Arman, che è una mia carissima amica, alla quale sono legato da un profondo rapporto professionale e umano e che ha voluto coinvolgermi nel progetto. Dopo aver studiato insieme, a Torino, con Luca Ronconi, recentemente abbiamo collaborato a diversi spettacoli prodotti dall’Elfo, come Angels in America e Improvvisamente, l’estate scorsa. Sul palco siamo una coppia piuttosto affiatata. E in questo spettacolo le coppie che interpretiamo sono più di una…

In che senso?

Nel senso che io e Elena, unici attori in scena, impersoniamo ben cinque diverse coppie uomo-donna (e in un caso anche una coppia donna-animale). È una delle particolarità del testo di Valentina Diana, l’autrice cui Elena ha chiesto di scrivere lo spettacolo, che ha voluto mettere in luce attraverso la lente del grottesco e con un registro surreale una serie di tipologie di conflitto che spesso insorgono nella realtà dei rapporti a due.

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Conflitti che possono essere risolti?

Dentro alla nostra ‘palestra’ è molto difficile. I litigi tra le coppie si concludono nel peggiore dei modi e, a livello drammaturgico, il passaggio da una coppia all’altra avviene tramite una vera e propria uccisione reciproca. Attraverso una serie di metamorfosi i personaggi muoiono e rinascono in forme diverse, come in un videogame, trasformandosi uno nell’altro. Lo spettacolo non vuole essere realistico, al contrario vuole enfatizzare e proporre in chiave comica una serie di situazioni e atteggiamenti che lo spettatore può riconoscere come tipici della vita quotidiana delle relazioni interpersonali, familiari e di coppia. L’atmosfera ricorda un po’ la distorsione grottesca della commedia all’italiana, i personaggi sono caricature comiche, bidimensionali nel vero senso della parola.

 

Le figure che prendono vita sul palco sono a due dimensioni anche visivamente?

In un certo senso sì. Quando ci trasformiamo da un personaggio in un altro i costumi che indossiamo e togliamo vengono applicati attraverso calamite, come se le figure non avessero altro spessore, altra personalità all’infuori di quella data dai costumi stessi. E l’effetto surreale è ulteriormente enfatizzato dalla presenza in scena di due caffettiere parlanti, che intervengono di tanto in tanto commentando quello che accade sul palco, con effetti spesso esilaranti.

È difficile per te, come attore, interpretare personaggi di questo tipo, trasformarsi continuamente, passare da una situazione all’altra?

È piuttosto faticoso, perché sul palco siamo solo in due e indossare  panni sempre diversi richiede parecchio impegno. Però è davvero molto divertente, perché in fondo questo spettacolo si colloca in quella dimensione che è l’essenza stessa del teatro: la dimensione del gioco. Non è un caso se nella maggior parte delle lingue – dall’inglese ‘play’ al verbo francese ‘jouer’ – i termini associati a teatro e gioco sono gli stessi. Insomma “La palestra della felicità” è un divertentissimo gioco teatrale. Immediatamente riconoscibile nell’espediente drammaturgico dei cambi d’abito. E dichiarato, in un certo senso, sin dal titolo

 

Mi stai dicendo che la vera palestra della felicità è il palcoscenico di un teatro?

Per un attore può esserlo. Gli attori non sono tanto diversi, dopotutto, dai bambini quando giocano. E nella maggior parte dei casi quando i bambini giocano sono felici.

Quindi è possibile raggiungere la felicità?

Elena Russo Arman, la regista, è convinta che la felicità esista e possa essere trovata all’interno di una dimensione ‘domestica’. La felicità come appagamento non si può raggiungere comportandosi come i personaggi che interpretiamo in questa commedia: loro anelano comicamente alla felicità ma cercano di approdarvi attraverso la sopraffazione dell’altro membro della coppia, indifferenti ai bisogni gli uni degli altri, in una palestra dominata dall’incomunicabilità, in cui ciascuno rimane concentrato esclusivamente su di sé, sul proprio binario, senza vedere davvero ciò che sta intorno.  Suscitando le risate divertite degli spettatori  che, forse, in alcuni atteggiamenti possono riconoscere anche un pezzettino di  se stessi.

Francesca Radaelli

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