di Enzo Biffi
“Sembrava facile toccarlo con un dito, ma il cielo ci ha voluto tutti fermi”
Già da qualche anno il verso di questa canzone mi gira per la testa. Vorrebbe, suo malgrado, riassumere in me uno stato d’animo che riconosco ampiamente condiviso fra i mie coetanei.
Cinquant’anni mi sembravano impossibili da pensare, davvero non riuscivo a forzare l’immaginario fino a capire cosa potesse essere osservare il mondo carico dello zaino di cinque decenni.
Al contrario ero gonfio di una scontata sicurezza sulle cose che avrei acquisito quasi per diritto divino; noi, figli di un tempo certo dove buoni e cattivi avevano nomi e facce, mentre cose e idee abitavano dimore assodate e riconoscibili.
Cinquant’anni mi sembravano impossibili da immaginare come stato dell’essere ma non come condizione del vivere materiale. Intendo dire che la proiezione di me stesso, a mezzo secolo di vita, mi sembrava sfuocata nei contorni dello spirito ma ben nitida lungo i profili della materia.
E in realtà proprio quest’ultima ci ha fregato.
Nessun dubbio che abitasse in noi, verso ristoranti a distribuire cibo, supermercati a concepire ipermercati, soldi a generare denaro, medicine a garantire eternità e figli da vestire alla moda, nelle scuole alla moda, tutti sani, lavati e migliori.
E poi quanta carriera da sintetizzare sui biglietti da visita, quanta bella gente nei villaggi in riva al mare e il pensiero debole ma salutista. Palestra e cibo sano, costoso ma sano.
Un futuro sereno, rigoglioso e ridente fino alla fine e la fine lontana, lontana.
Ma la casa che l’architetto garantiva fosse costruita sulla roccia, la scoprimmo, grazie al manovale, costruita sulla sabbia. Così ci ritrovammo, spente le luci della ribalta, col vuoto consueto del dopo festa, fastidiosa malinconia del post-eccesso.
Eccolo: ”il cielo che ci ha voluto tutti fermi”. Tutti noi, alberi col tronco forte di cinquanta anelli, in balia di un vento improvviso, con la chioma troppo carica, pesante e disordinata, cresciuta col solo scopo di crescere sempre più.
Massa inutile e informe, chioma eccessiva esposta al vento dell’inadeguatezza che ne scuote il carico goffo e colmo di rami inutili o secchi.
Allora è tempo di potare, senza indugi e con cura.
A ciascuno la sua potatura, ogni specie tenga conto di morfologia, fisiologia e meccanica della pianta; non occorre “capitozzare” ovvero asportare completamente la chioma. Il tronco è robusto e le radici profonde… Potare senza paura, altri rami cresceranno a ridare vitalità e bellezza.
Accettare il cambiamento fa il pari con cercare l’essenziale, non rinuncia ma conquista, non carico ma scarico; alberi cinquantenni, alleggeriti come giovani arbusti.